PIETRE DI LUNA - vie pagane

STREGHE E LEPRI -i racconti di W. B. Yeats-

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view post Posted on 6/4/2020, 23:29
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Advanced Member AbbracciaGatti

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STREGHE E LEPRI
-i racconti di W. B. Yeats-


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Ovunque però si ritiene che l'elemento centrale della stregoneria
stia nella facoltà di assumere delle apparenze contraffatte;
in Irlanda, di solito, quella di una lepre o di un gatto.


(William Butler Yeats - Fiabe irlandesi)


In magia e nella stregoneria anche le lepri, come altri animali, sono considerate famigli di streghe e guaritrici, dove per famiglio si intende una sorta di “aiutante esoterico”. Le lepri sono anche ritenute entità trickster, che tradotto dall’inglese significa imbroglione: nel folclore sono quelle figure umane, animali o teriomorfe che si prendono gioco dell’uomo con scherzi di cattivo gusto il cui esito può essere lieve come pure fatale, caratteristica condivisa anche da gnomi, folletti e altre entità fatate. L’apparire e lo sparire fanno parte del "gioco" e rappresentano la capacità di queste entità di bilanciarsi a piacimento tra più dimensioni spazio-temporali, ma soprattutto tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Spesso le lepri sono le stesse streghe che ne hanno assunto le sembianze. In molti racconti la lepre viene ferita dagli uomini che rincorrendola finiscono nella casa della strega, che mostra le stesse ferite inferte alla bestiola, la quale naturalmente è scomparsa. Sono reminiscenze sciamaniche di epoche in cui la trasformazione in forma animale era un viaggio astrale a scopo magico: siamo a conoscenza di queste manifestazioni principalmente tramite i media che hanno importato la conoscenza del fenomeno dei “mutaforma”, in inglese shapeshifter, specie in riferimento alle tradizioni sciamaniche dei nativi americani e dei popoli euroasiatici. Ebbene anche in Europa questa forma di magia animale di trasmutazione si trova in molte tradizioni e ci è stata tramandata sotto forma di fiabe e novelle riportate in periodi intrisi di timore cristiano verso le pratiche di stregoneria e di tentativi di stigmatizzare le antiche usanze pagane dando loro una connotazione malvagia. Inimicarsi le lepri porta sventura, e sventurati sono quei cacciatori stolti che insistono per catturarne gli esemplari migliori: questa è una traccia, celata, del rispetto che in antichità era tributato agli animali più maestosi e possenti.

Il poeta irlandese William Butler Yeats ci ha narrato molti episodi che hanno per protagonista la lepre magica: questi racconti sono spesso violenti e le povere lepri sono tratteggiate non per ispirare tenerezza bensì angoscia e ribrezzo: tuttavia leggendo tra le righe, a noi che siamo Streghe queste magiche bestiole ispirano simpatia, dolcezza e incanto quando leggiamo dei loro balzi onirici, delle fughe tra i refoli fatati delle nebbie e delle loro movenze lievi e leggiadre.

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Da "Fiabe irlandesi" di William Butler Yeats, Ed. Newton Compton:


La strega lepre (dei coniugi Samuel Carter Hall)

"Me ne stavo in giro a seguire tracce di una lepre, quando ti vedo un bell'esemplare che salta e piroetta al chiaro di luna, sbatte le orecchie su e giù e strizza i suoi occhioni. «Ci siamo», mi dico, e la bestia mi era così vicina che si è voltata a guardarmi e poi ha fatto un balzo all'indietro, come per dire: «Vediamo cosa sai fare!». Avevo soltanto un ultimo granello di polvere, così lo metto nel fucile e le sparo! Caro mio, lo strillo che ha fatto avrebbe spaventato un reggimento, e fra me e lei si è alzata una specie di nebbia e non l'ho più vista; ma quando la nebbia si è diradata ho intravisto del sangue nel punto in cui prima c'era la lepre: ho seguito la sua traccia, e alla fine mi ha condotto – mi raccomando, acqua in bocca - proprio davanti alla porta di Katey Mac Shane; e mentre stavo sulla soglia ho sentito dei lamenti, forti lamenti e gemiti che provenivano dall'interno; allora ho aperto la porta ed eccola là, seduta tutta soddisfatta in forma di donna; e il gatto nero che le sedeva accanto ha drizzato la schiena e mi ha sputato addosso; ma io non ci ho fatto caso e ho chiesto alla vecchia come stava e cosa la faceva soffrire.
«Niente», dice lei.
«Ma che c'è sul pavimento?», dico io.
«Oh», dice, «stavo tagliando un ceppo», dice, «col falcetto, e mi
sono ferita a una gamba », dice, «e quelle sono gocce del mio prezioso
sangue», dice."

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La sorte di Frank M'Kenna (di William Carleton)

"C’era un uomo chiamato M’Kenna che viveva sul fianco di una delle alture montagnose che dividono la contea Tyrone da quella Monaghan. M’Kenna aveva due figli, uno dei quali aveva l’abitudine di seguire le tracce delle lepri la domenica, quando era venuta giù un po’ di neve. Il padre, a quel che sembra, l’aveva rimproverato spesso per ciò che considerava come una profanazione del giorno del Signore, oltre che per il fatto che non andava mai a messa. Il giovane però, benché per il resto docile e inoffensivo, per quel che riguardava questa faccenda era del tutto insensibile ai rimproveri paterni, e continuava a seguire le tracce delle lepri tutte le volte che gli impegni di lavoro glielo consentivano. Accadde dunque che un mattino di Natale, credo dell’anno 1814, venne giù un’abbondante nevicata, e il giovane M’Kenna, invece di andare a messa, tirò giù il suo bastone da lancio – cioè un bastone molto più grosso e pesante a una estremità che all’altra – e si accinse a partire per il suo passatempo preferito. Vedendo questo, suo padre lo rimproverò seriamente e insistette perché partecipasse alle preghiere. La passione del ragazzo per quel divertimento però era più forte del suo amore per la religione, ed egli si rifiutò di fare come gli aveva detto il padre. Durante l’alterco il vecchio si scaldò e, vedendo che il figlio continuava ostinatamente a non tener conto della sua autorità, si inginocchiò e pregò che, se il figlio avesse continuato a fare di testa sua, non tornasse vivo dalle montagne. La maledizione, che era di certo tanto brutale quanto empia e insensata, avrebbe potuto distogliere molti dal perseguire un proposito che era, a dir poco, in contrasto con la religione e col rispetto dovuto a un padre. Non ebbe però alcun effetto sul figlio che si dice abbia risposto di essere comunque deciso, dovesse o meno far ritorno, ad andare; di fatto partì. Non era, però, solo: sembra che lo accompagnassero in tre o quattro ragazzi dei dintorni. Se la caccia abbia dato buoni risultati o no non ha importanza, né sono in grado di dirlo; ma la storia vuole che nell’ultima parte della giornata abbiano stanato la lepre più grande e più scura che mai avessero vista, e che questa abbia continuato a sfuggir loro, inducendoli a ritenere, mano a mano che procedeva, che ogni successivo lancio del bastone l’avrebbe abbattuta. In seguito fu notato anche che la lepre li aveva condotti nelle zone più nascoste della montagna e che, sebbene essi avessero tentato di deviarne il percorso verso il villaggio, non erano riusciti nell’intento. Con il calare della sera i compagni di M’Kenna cominciarono a rendersi conto che sarebbe stato folle inseguirla ancora e a intravedere il pericolo di perdersi tra le montagne, se li avesse sorpresi la notte o una tempesta di neve. Proposero dunque di abbandonare la caccia e rientrare in casa; ma M’Kenna non ne volle sentir parlare. “Se volete andare a casa potete farlo”, disse; “quanto a me non lascerò queste colline finché non l’avrò catturata”. Essi lo pregarono e supplicarono di desistere e ritornare indietro, ma senza alcun risultato: sembrava, come dicono gli scozzesi, un ‘fey’ – si comportava cioè come se fosse spinto da un impulso che l’avrebbe condotto alla morte, e al cui controllo nessun uomo può sottrarsi. Infine, vedendolo così irriducibilmente ostinato, lo lasciarono mentre inseguiva la lepre nel cuore delle montagne e ritornarono alle loro rispettive case.
In quel mentre sopraggiunse una delle più terribili tempeste di neve che mai si ricordino in quella parte del paese, e la conseguenza fu che il cocciuto giovanotto, che aveva calpestato sia i principi sacri della religione che quelli dell’autorità paterna, fu dato per disperso. Appena la tempesta si fu calmata i vicini si riunirono e iniziarono la ricerca. Ma la neve era caduta così abbondante che non si poteva distinguere nessuna impronta. Non si vedeva null’altro che un’ampia distesa di candide colline ondulate, dovunque si posasse lo sguardo; e di M’Kenna non si vedeva né si poteva trovare alcuna traccia. Il padre, ricordando allora quanto innaturale era stata la sua maledizione, ne fu sconvolto, perché, anche se ancora il corpo non era stato rinvenuto, chiunque avesse assistito alla furia improvvisa della tempesta e conoscesse le montagne sapeva che non poteva esservi scampo o salvezza. Ogni giorno, per quasi una settimana, gruppi composti di molte persone batterono le alture cercandolo, ma invano. Venne infine il disgelo, e il suo corpo fu trovato sopra un cumulo di neve, steso in posizione supina entro un cerchio che lui stesso aveva tracciato attorno a sé col bastone. Il libro di preghiere giaceva aperto sulla sua bocca, con il cappello messo in modo da coprire sia il libro che la faccia. Non è necessario dire come la morte e le circostanze in cui si era allontanato da casa avessero suscitato molta eccitazione nella zona – e l’emozione era tanto più forte per l’incertezza causata dal fatto che non era stato ritrovato, né vivo né morto, per molto tempo. Alcuni avevano affermato che aveva attraversato le montagne e che era stato visto nel Monaghan; altri che era stato visto a Clones, a Emyvale, a Five-mile-town; ma nonostante tutte quelle belle notizie la triste verità venne infine alla luce quando si ritrovò il corpo, nelle circostanze che ho riferito."

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Il burro stregato” (contea Queens - da Dublin University Magazine, 1839)

Curiosamente (almeno per chi non è avvezzo ai meccanismi di fiabe e leggende) in questo racconto vi sono la strega buona, alleata con la brava gente funestata dalle disgrazie, e la strega cattiva, responsabile di quelle disgrazie. La lepre entra in campo (letteralmente!) dopo la metà del racconto: l’animale è ferito dai cani e si ripara all’interno della casa della strega malvagia: quando vi giungono i cacciatori, come da copione non trovano la lepre ma la strega con le medesime ferite inferte dai cani.
La peculiarità di questo racconto sta anche nell’importanza del latte e del burro: nel folclore le attività casearie sono tipicamente sottoposte a magie stregate, come d’altra parte molti altri alimenti, data la loro importanza per la sopravvivenza umana. Come per esempio il grano… ma questa è un’altra storia…


"Verso l'inizio del secolo scorso viveva nei pressi del villaggio, un
tempo famoso, di Aghavoe(1) un ricco agricoltore chiamato Bryan
Costigan. Quest'uomo possedeva un'ampia fattoria con una gran
quantità di mucche da latte e ogni anno ricavava notevoli somme di
denaro dalla vendita del latte e del burro. La fertilità delle terre da
pascolo di questa zona è sempre stata proverbiale; e le mucche di Bryan
erano le più belle e le più produttive del paese, il suo latte e il suo burro
i più ricchi e cremosi e spuntavano i prezzi più alti in tutti i mercati in
cui erano messi in vendita.
Le cose seguitavano ad andar molto bene per Bryan Costigan,
quando, improvvisamente, una stagione si accorse che le bestie
perdevano il loro bell'aspetto e che la fattoria non dava quasi più
profitti. Bryan inizialmente attribuì questo cambiamento al tempo o a
una qualche causa simile, ma presto trovò, o credette di trovare, dei
motivi validi per ritenere responsabile una fonte assai diversa.
Senza soffrire in apparenza di alcun disturbo, le mucche deperivano
di giorno in giorno ed erano a malapena in grado di trascinarsi al
pascolo: molte, invece che latte, non davano altro che sangue; quel
poco latte che qualcuna continuava a produrre era così cattivo che non
lo bevevano neppure i maiali; mentre il burro che se ne ricavava era di
qualità così pessima e puzzava in modo tanto tremendo che perfino i
cani rifiutavano di mangiarlo. Bryan si rivolse in cerca di rimedio a tutti
i ciarlatani e a tutte le fattucchiere del paese, ma invano. Molti degli
impostori dichiaravano che la loro scienza era impotente di fronte alla
misteriosa malattia che aveva colpito il suo bestiame; mentre altri, pur
non trovando nessuna difficoltà ad attribuirla a un agente
soprannaturale, dichiaravano di non avere alcuna autorità in materia,
poiché l'incantesimo che distruggeva la proprietà di Bryan era talmente
potente che solo l'intervento speciale della Divina Provvidenza avrebbe
potuto annullarlo, e nient'altro. Il povero fattore era sconvolto, vedeva
di fronte a sé la rovina, ma cosa doveva fare? Vendere le sue bestie e
comprarne delle altre? No, questo era fuori discussione, visto che
avevano un aspetto così miserevole e macilento che nessuno le avrebbe
prese nemmeno in regalo; né era possibile venderle a un macellaio, dato
che la carne di una che egli aveva ammazzato per la sua famiglia era
nera come il carbone e puzzava tal quale una carogna putrefatta.
Il disgraziato era perciò del tutto disorientato. Non sapeva cosa fare;
divenne torvo, sembrava stordito; di notte non riusciva a prender sonno
e vagabondava tutto il giorno per i campi come un pazzo fra le sue
bestie colpite dai folletti.
Le cose continuavano ad andar così quando, in una sera molto afosa,
verso la fine di luglio, la moglie di Bryan Costigan era seduta accanto
alla porta a filare, in uno stato d'animo molto depresso e turbato. Il suo
sguardo corse, per caso, lungo lo stretto sentiero erboso che portava
dalla strada maestra alla casa, e scorse una vecchina scalza, avvolta in
un vecchio mantello scarlatto, che s'avvicinava lentamente, aiutandosi
con una gruccia che reggeva in una mano e con un bastone da
passeggio che teneva nell'altra. La moglie del fattore si rallegrò nel
notare quella forestiera dall'aspetto insolito; sorrise, senza sapere
perché, vedendo che si avvicinava alla casa. Un vago e indefinito senso
di piacere pervase la sua mente, e quando la vecchia raggiunse la
soglia, le disse «benvenuta» con un calore che faceva chiaramente
intendere come le sue labbra stessero esprimendo i genuini sentimenti
del suo cuore.
«Dio benedica questa buona casa e tutto quello che le appartiene»,
disse la sconosciuta entrando.
«Dio ti protegga. Sappi di essere la benvenuta, chiunque tu sia»,
rispose la signora Costigan.
«Ehm, lo immaginavo», disse la vecchia con una smorfia
significativa. «Lo immaginavo, altrimenti non vi avrei disturbato.»
La moglie del fattore corse a sistemare una sedia presso il fuoco per
la sconosciuta; ma lei rifiutò e si accoccolò per terra vicino al punto
dove era stata seduta a filare la signora Costigan. Quest'ultima poteva
ora esaminare minuziosamente la figura della vecchia. Appariva molto
anziana; l'espressione del volto era estremamente brutta e ripugnante; la
pelle era ruvida e molto scura, come per effetto di una lunga
esposizione al sole di qualche area tropicale; la fronte era bassa, stretta
e scavata da mille rughe; i lunghi capelli grigi ricadevano in ciocche
arruffate da sotto una papalina di lino bianco; gli occhi erano velati,
iniettati di sangue e collocati nelle orbite per storto e la voce era rauca,
tremula, parzialmente inarticolata. Accovacciatasi sul pavimento,
esaminava la casa con sguardo indagatore; scrutava spiando ogni
angolo, con tale intensità, quasi avesse avuto il potere, come
l'Argonauta dei tempi antichi, di vedere attraverso le profondità della
terra, mentre la signora Costigan continuava a seguire i suoi movimenti
con un misto di curiosità, reverenza e piacere.
«Signora», disse la vecchia rompendo infine il silenzio, «ho la gola
secca per il gran caldo; puoi darmi da bere?»
«Ahimè!», rispose la moglie del fattore, «non ho da offrirti altro che
acqua, altrimenti non avresti certo avuto bisogno di chiederlo».
«Non sei la padrona delle bestie che vedo laggiù?», disse la vecchia
con un gesto e un tono di voce che indicavano chiaramente come già
sapesse tutto.
La signora Costigan rispose di si, e le raccontò in poche parole ogni
particolare della faccenda, mentre la vecchia restava sempre silenziosa,
scuotendo però ripetutamente la testa grigia; intanto continuava ad
esplorare con lo sguardo la casa con aria di importanza e grande
competenza.
Quando la signora Costigan ebbe finito, la vecchia rimase un
momento come assorta, e alla fine disse:
«Hai in casa un po' di latte?».
«Si», rispose l'altra.
«Mostramene un po'.»
La signora ne riempi una brocca da un recipiente e la porse alla
vecchia sibilla, che lo annusò, ne assaggiò un sorso e poi lo sputò sul
pavimento.
«Dov'è tuo marito?», chiese.
«Fuori, nei campi», fu la risposta.
«Devo vederlo.»
Un ragazzo fu mandato a chiamare Bryan, che poco dopo comparve.
«Caro vicino», disse la sconosciuta, «tua moglie mi dice che le vostre
bestie vi danno dei problemi in questo periodo.»
«Ti ha detto la verità», disse Bryan.
«E perché non avete cercato un rimedio?»
«Un rimedio!», fece l'uomo, «ma, cara la mia donna, ho cercato
rimedi fino a spezzarmi il cuore, e tutto inutilmente; peggiorano di
giorno in giorno.»
«Cosa mi dai se te le guarisco?»
«Tutto quello che possiamo», risposero Bryan e la moglie, entrambi
con voce sollevata e d'un sol fiato.
«Vi chiedo soltanto una moneta d'argento da sei penny», disse, «e
che facciate tutto quello che vi ordinerò.»
Il fattore e la moglie sembravano sbalorditi davanti a una richiesta
tanto modesta. Le offrirono una grossa somma di denaro.
«No», disse lei, «non voglio il vostro denaro; non sono
un'imbrogliona, e non prenderei neanche i sei penny, se non fosse che
non posso fare nulla se non ho in mano un po' del vostro argento.»
Le fu subito data la moneta da sei penny e sia Bryan che la moglie,
che ormai cominciavano a considerare la vecchia strega il loro angelo
custode, promisero la più totale obbedienza a tutti i suoi ordini.
La vecchia si sfilò un nastro di seta nera che le circondava il capo
sotto la papalina e la diede a Bryan dicendo:
«Ora va', e porta nel cortile la prima vacca che toccherai con questo
nastro, ma fai attenzione a non toccare la seconda, e a non dire una
parola finché non sarai di ritorno; sta' attento anche a che il nastro non
vada a toccare per terra, altrimenti tutto è inutile».
Bryan prese il nastro magico e presto fu di ritorno, conducendo
davanti a sé una mucca rossa.
La vecchia usci e, avvicinatasi alla vacca, cominciò a strapparle i peli
della coda, cantando dei versi in Irlandese in una bassa, selvaggia e
sconnessa melodia. La mucca appariva recalcitrante e irrequieta, ma la
vecchia continuò la sua misteriosa canzone fino a quando non ebbe
estratto il nono pelo.
Poi ordinò che la mucca fosse ricondotta al pascolo, e rientrò in casa.
«Vai, ora», disse alla donna, «e portami un po' di latte di tutte le
mucche che possedete.»
La donna parti e presto ritornò con un grosso secchio pieno di una
orribile mistura di latte, sangue e sostanze in putrefazione. La vecchia
mise tutto nella zangola e preparò quel che serviva per fare il burro.
«Ora», disse, «dovete sbattere il latte tutti e due. Chiudete bene porta
e finestre e lasciate soltanto la luce del fuoco; non aprite la bocca finché
non ve lo dico io, e se seguirete le mie istruzioni non dubito che, prima
che il sole sia tramontato, scopriremo chi è la perfida creatura che vi sta
derubando.»
Bryan sprangò porte e finestre e cominciò a sbattere il latte. La
vecchia fattucchiera sedette vicino a un grande fuoco acceso apposta
per l'occasione; cominciò a cantare la stessa strana canzone che aveva
cantato strappando i peli della mucca, e dopo un po' gettò uno dei nove
peli nel fuoco, continuando a cantare la misteriosa melodia e nello
stesso tempo controllando con estrema attenzione il procedere della
magia.
Allora si senti un forte grido, come di una donna disperata, farsi
sempre più vicino alla casa; la vecchia strega interruppe i suoi
incantesimi e ascoltò attentamente. La voce che urlava si avvicinò alla
porta.
«Aprite la porta, presto», gridò la fattucchiera.
Bryan tolse la sbarra e tutti e tre si precipitarono nel cortile, dove
udirono lo stesso grido in fondo al boreheen(2) ma non riuscirono a
vedere nulla.
«È finita», strillò la vecchia strega; «qualcosa non ha funzionato e
per ora il nostro incantesimo è inefficace.»
Se ne stavano tornando indietro tutti abbattuti quando, sul punto di
entrare in casa, la sibilla abbassò gli occhi e scorse, inchiodato sulla
soglia, un pezzo di ferro di cavallo(3) . Allora gridò:
«Ecco, ora capisco; non c'è da stupirsi che il nostro incantesimo sia
fallito. La persona che gridava là fuori è la sciagurata che ha stregato le
vostre bestie; l'ho attirata verso la casa, ma non è riuscita ad arrivare
alla porta a causa di questo ferro di cavallo. Toglietelo immediatamente
e tenteremo di nuovo la sorte».
Bryan tolse il ferro di cavallo dalla soglia e, seguendo le direttive
della vecchia, lo mise per terra sotto la zangola, dopo averlo reso
incandescente sul fuoco.
Ripresero un'altra volta i loro traffici. Bryan e sua moglie
ricominciarono a sbattere il latte e la strega a cantare i suoi strani versi,
gettando i peli di vacca nel fuoco finché non li ebbe quasi finiti tutti. Il
suo volto cominciava ora a mostrare segni evidenti di irritazione e
delusione. Si fece assai pallida, i denti serrati, le mani tremanti, e
mentre gettava il nono e ultimo pelo sul fuoco, la sua persona pareva
quella di un demone femminile, più che di un essere umano.
Ancora una volta si udì il grido e si vide una vecchia dai capelli rossi(4) avvicinarsi velocemente alla casa.
«Oh, oh!», gridò la fattucchiera, «sapevo che sarebbe andata così; il
mio incantesimo è riuscito; le mie aspettative si sono realizzate; eccola,
la sciagurata che vi ha rovinati.»
«E adesso cosa dobbiamo fare?», chiese Bryan.
«Non le dite niente», rispose la vecchia, «datele quello che vi chiede
e lasciate a me il resto.»
La donna avanzava urlando in modo forsennato e Bryan usci ad
accoglierla. Era una vicina; disse che una delle sue mucche più belle
stava annegando in uno stagno, che a casa non c'era nessun altro che lei
e implorò Bryan di andare a salvare la mucca.
Bryan la accompagnò senza esitazione e, dopo aver salvato la mucca
in pericolo, tornò a casa nel giro di un quarto d'ora.
Era ormai il tramonto, e la signora Costigan si accinse a preparare la
cena.
Durante la cena ritornarono ai singoli avvenimenti della giornata. La
vecchia strega fece più d'una risata diabolica per il successo dei suoi
incantesimi, e domandò chi fosse la donna che avevano scoperto in
modo così curioso.
Bryan le dette ogni particolare. Era la moglie di un fattore vicino; si
chiamava Rachel Higgins e da molto tempo era sospettata d'essere in
rapporto stretto con lo spirito delle tenebre. Aveva cinque o sei mucche;
ma i suoi ben informati vicini avevano notato che vendeva ogni anno
più burro delle mogli di altri fattori che ne avevano venti. Bryan, fin da
quando il suo bestiame aveva iniziato a deperire, aveva sospettato che
fosse lei la responsabile, ma dato che non aveva alcuna prova, aveva
taciuto.
«Bene», disse la vecchia strega con un ghigno, «non basta aver
scoperto la responsabile; è tutto inutile, se non facciamo qualcosa per
punirla per le malefatte del passato e che le impedisca altre razzie per il
futuro.»
«E come ci riusciremo?», chiese Bryan.
«Ve lo dirò: questa sera, appena arriva la mezzanotte, andrete al
pascolo e porterete con voi un paio di cani veloci; vi nasconderete in
qualche posto vicino al bestiame e lo terrete bene d'occhio; e se vedete
qualcosa, sia uomo o bestia, che si avvicina alle mucche, aizzate i cani,
e se possibile fate in modo che feriscano l'intruso, così da farlo
sanguinare; e allora Tutto sarà finito. Se nessuno si avvicina prima
dell'alba, potete ritornare e proveremo qualcos'altro.»
Li nei pressi viveva il bovaro di un gentiluomo della zona. Era un
giovanotto forte e coraggioso e teneva sempre un paio di feroci bulldog.
Bryan andò da lui per ottenere aiuto, e questo acconsenti di buon
grado ad accompagnarlo, e propose inoltre di prendere un paio dei
migliori levrieri del padrone, poiché i suoi cani, che pure erano
aggressivi e assetati di sangue, quanto a velocità non erano dei migliori.
Promise a Bryan di raggiungerlo prima di mezzanotte e si lasciarono.
Quella sera Bryan non tentò di dormire: rimase seduto ansiosamente
ad aspettare la mezzanotte. Alla fine l'ora arrivò e il suo amico bovaro,
fedele alla promessa, arrivò al momento stabilito. Ricevuto qualche
altro consiglio dalla Collough, partirono. Giunti al pascolo, si
consultarono su quale posto scegliere per nascondiglio. Alla fine
decisero per una piccola macchia di felci, situata all'estremità del
campo, vicino al fossato di confine, piena di grandi, vecchi cespugli di
biancospino. Qui si accovacciarono e fecero stendere i cani, quattro in
tutto, accanto a loro, aspettando con ansia che l'ancora sconosciuta e
misteriosa visitatrice facesse la sua comparsa.
Bryan e l'amico rimasero in quell'eccitata attesa per un pezzo, ma
ancora niente si avvicinava, ed era chiaro che il mattino si stava
avvicinando; cominciavano a spazientirsi, e parlavano di far ritorno a
casa, quando, improvvisamente, udirono dietro di loro un rumore
febbrile che sembrava prodotto da qualcosa che cercasse di aprirsi a
forza un varco nella fitta siepe dietro a loro. Guardarono in quella
direzione, e immaginate il loro stupore nello scorgere una grossa lepre
nell'atto di balzar fuori dal fossato e saltare sul terreno proprio vicino a
loro. Ora si sentivano certi che quella era la cosa che avevano atteso
con tanta impazienza, ed erano decisi ad osservare minuziosamente i
suoi movimenti.
Arrivata sul campo, la lepre rimase immobile per alcuni istanti,
guardandosi attorno con sguardo acuto. Poi cominciò a balzare e saltare
come per gioco, ora avanzando a passo veloce verso le mucche, ora
ritirandosi precipitosamente, ma tuttavia facendosi a ogni finta più
vicina. Raggiunse dunque la prima mucca e la succhiò per un momento;
passò poi alla seguente, e quindi, una dopo l'altra, succhiò tutte le
mucche del campo -mentre esse continuavano a muggire forte e
apparivano estremamente spaventate e agitate. Bryan, dal momento in
cui la lepre aveva cominciato a succhiare la prima mucca, s'era
trattenuto con difficoltà dall'attaccarla; ma il suo più astuto compagno
gli suggeri che sarebbe stato meglio aspettare fino a quando non avesse
terminato, perché allora sarebbe stata molto più pesante e impacciata
nel tentare la fuga. Quel che segui provò che era proprio vero; infatti,
finito che ebbe di succhiare tutte le mucche, la sua pancia apparve
enormemente dilatata, e cominciò ad allontanarsi lentamente e con
evidente difficoltà. Avanzò verso la siepe dalla quale era entrata, e
quando arrivò alla macchia di felci dove i suoi nemici stavano
rannicchiati, questi balzarono in piedi gridando selvaggiamente e
aizzandole dietro i cani.
La lepre scattò veloce, facendo schizzar fuori dalla bocca e dalle
narici il latte che aveva succhiato, e i cani la inseguirono rapidi. La
capanna di Rachel Higgins apparve a breve distanza, nella grigia e fioca
luce del mattino, ed era evidente che la bestia era diretta li, anche se
aveva fatto un lungo giro per i campi dietro la casa. Bryan e il suo
compagno, però, si mossero con astuzia e andarono verso la capanna
per la via più breve; c'erano appena arrivati quando la lepre spuntò,
ansimante e quasi sfinita, con i cani alle calcagna. Corse attorno alla
casa, evidentemente confusa e contrariata dalla presenza degli uomini,
ma infine si diresse alla porta. In fondo alla porta c'era una piccola
apertura semicircolare che assomigliava a quelle praticate nelle porte
dei pollai per l'entrata e l'uscita delle galline. La lepre fece un ultimo
sforzo disperato per raggiungere questo buco, ed era riuscita a farci
passare attraverso la testa e le spalle, quando il primo cane fece un
balzo e le azzannò violentemente una coscia. La bestia lanciò un grido
acuto e penetrante e lottò disperatamente per liberarsi dalla presa, e alla
fine ci riuscì, ma non senza aver lasciato tra i denti del cane un pezzo
del suo posteriore. A questo punto gli uomini spalancarono la porta: un
bel fuoco di torba ardeva nel camino, e il pavimento era inondato di
sangue.
Non c'era in giro, tuttavia, nessuna lepre, e gli uomini rimasero più
che mai convinti che fosse stata la vecchia Rachel che aveva, con l'aiuto
di qualche demone, preso la forma della lepre, ed erano decisi a
catturarla, se era ancora su questa terra.
Entrarono nella camera da letto e udirono un gemito soffocato, che
sembrava provenire da qualcuno in terribile agonia. Andarono verso
l'angolo della stanza dal quale giungevano i lamenti e là, in mezzo a un
fascio di giunchi appena tagliati, videro le sembianze di Rachel
Higgins, che si contorceva tra gli spasmi più atroci, immersa in una
pozza di sangue. Gli uomini erano sbalorditi: si rivolsero alla sciagurata
vecchia, ma questa non poteva o voleva rispondere. La sua ferita
continuava a sanguinare abbondantemente: le sue sofferenze
sembravano aumentare ed era evidente che stava morendo. I familiari si
svegliarono e si radunarono attorno a lei con grida e lamenti; ma lei
sembrava non notarli neppure, le sue stridule urla risuonavano nelle
orecchie dei presenti. Alla fine spirò e il suo cadavere offri uno
spettacolo terribile, ancor prima che lo spirito l'avesse lasciato
completamente.
Bryan e l'amico tornarono a casa. La vecchia era già a conoscenza
della sorte di Rachel Higgins, anche se non si sapeva grazie a quale
dote soprannaturale.
Era molto rallegrata per l'esito delle sue pratiche misteriose. Bryan
insistette molto perché accettasse qualche ricompensa per i suoi servizi,
ma essa rifiutò categoricamente ogni proposta. Rimase ancora alcuni
giorni in casa sua, e alla fine si congedò e parti, nessuno seppe per
dove.
I resti della vecchia Rachel furono sotterrati quella notte nel vicino
cimitero. La sua sorte divenne presto nota a tutti e la sua famiglia,
vergognandosi di rimanere nel villaggio nativo, vendette la proprietà e
abbandonò per sempre il paese. La storia, tuttavia, è ancora viva nella
memoria degli abitanti della zona; e si dice che spesso, nella grigia
foschia della luce estiva, si possa vedere il fantasma di Rachel Higgins
che, sotto forma di una lepre, saltella in giro per i territori di caccia che
prediligeva e che tanto bene ancora ricorda."

1) Aghavoe - «il campo delle mucche» - è un bel villaggio romantico vicino a Borris-in-Ossory, nella contea Queens. Un tempo era un luogo di notevole importanza, e fu per secoli sede vescovile della diocesi di Ossory, ma da molto tempo è in rovina, e attualmente è importante solo per gli splendidi ruderi di un convento domenicano, erettovi in tempi remoti da San Canice, santo patrono di Ossory.
2) Sentiero (N.d.C).
3) Un tempo era consuetudine, in Irlanda, inchiodare un ferro di
cavallo sulla soglia della porta di casa, per salvaguardarla dall'influenza delle creature fatate, che si ritiene non osino entrare in una casa così protetta. La consuetudine, tuttavia, sta scomparendo, ma è ancora praticata in alcune delle aree più isolate.
4) Si ritiene che le persone dai capelli rossi possiedano poteri magici.


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Per approfondire:

- OSTARA: la LEPRE e il Coniglio

- PASQUA PAGANA - pagan home decor

- OSTARA - LETTURE SCELTE

- Biblioteca: OSTARA - LEGGENDE DI PRIMAVERA

- Cesare Accorsi in "La lepre e l'equinozio" - rivista Sirio n.419

Fonti delle immagini: Lisa Parker, Amanda Clark, Wendy Andrew, Mandy Walden, Pinterest.
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Edited by Deomira ErbaLuna - 7/4/2020, 21:12
 
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