PIETRE DI LUNA - vie pagane

FATE E METAFORE ACQUATICHE, tra folclore, Romanticismo e Simbolismo

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view post Posted on 18/6/2020, 23:26
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Advanced Member AbbracciaGatti

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FATE E METAFORE ACQUATICHE
tra folclore, Romanticismo e Simbolismo

Melisande_Debussy

Alberico: Come splendete nel chiarore
luminose e belle!
Ben lieto il mio braccio
cingerebbe una di voi snelle,
s'ella con grazia guizzasse quaggiù!
(Das Rheingold - Richard Wagner)


Fino all’Ottocento e al primo Novecento le fiabe e le leggende conservavano una dimensione “adulta”, connessa con la profondità esoterica e spirituale dei miti che le hanno generate. Negli ambienti artistici, dell’arte in tutte le sue espressioni: musicale, letteraria, visiva, poetica, ecc., gli intellettuali si interessavano degli elementi esoterici e mitologici delle fiabe, immettendoli nelle proprie opere.
In seguito le fiabe sono state relegate a dimensione infantile, a folclore, ritenute -per costrutto e per finalità- inutili. Persino in ambiente accademico il mondo della fiaba è stato snobbato e giudicato irrazionale.
Ora la nostra rinata anima pagana, infine scevra dei condizionamenti religiosi dei monoteismi, si riappropria di quella dimensione primeva, riapprezzando quelle opere che, pur mediante metafore e allegorie, hanno mantenuto vivi gli arcaici miti.

Anche le fate, protagoniste di numerose di queste opere, sono sopravvissute alla weltanschauung cristiana celate sotto il drappo di novelle, di canti, di opere liriche, di musica, di narrativa, di poesia, di teatro, di arte...
Fata è un termine usato spesso in modo generico e omnicomprensivo, e può contemplare anche le entità acquatiche, come le ninfe, le ondine, le anguane e altri esseri affini all’elemento acqua. Parlarne ora significa essere reputati sognatori, e fino a poco tempo fa era persino ritenuto pericoloso citarle.

Sulla soglia del solstizio estivo, quando il velo tra i mondi si dischiude, fluttuiamo nel multiverso con le fate, oltre le porte della percezione, ondeggiando e cullandoci con metafore acquatiche…

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Il destino di un'Ondina...
"Devi sapere, mio dolce amato, che negli Elementi vi sono esseri in apparenza simili a voi, che però assai raramente si lasciano cogliere dal vostro sguardo. Tra le fiamme sfavillano e giocano strane Salamandre; nelle profondità della terra abitano gli Gnomi scarni e maligni; per i boschi vagano i Folletti che appartengono all’aria e nei mari, tra le correnti e i ruscelli, vive e si propaga la razza degli Spiriti delle Acque. [...] Tu, mio caro, vedi davanti a te un’Ondina. [...] Noi saremmo di gran lunga migliori di voialtri umani, perché anche noi ci chiamiamo uomini e siamo anche simili nella conformazione del corpo, ma c’è qualcosa di diverso. Noi e i nostri simili degli Elementi ci disperdiamo e periamo anima e corpo, per cui non ne rimane alcuna traccia, mentre voi un giorno vi ridesterete ad una vita più pura, noi rimarremo dove sabbia e scintilla, vento ed onda, rimarranno. Perciò non abbiamo neppure un’anima; l’Elemento ci muove e ci asseconda spesso finché siamo in vita, ma appena moriamo ci distrugge. [...] Tutti vogliono essere più in alto di come sono. Perciò mio padre, che è un potente principe delle acque nel mare Mediterraneo, volle che la sua unica figlia divenisse partecipe di un’anima e sopportasse anche i molti affanni delle creature umane. Una di noi può guadagnarsi un’anima solo grazie alla più intima unione d’amore con uno della vostra specie. Ora io posseggo un’anima, grazie a te, mio indicibile amore, e ti sarò grata se tu non mi farai infelice per tutta la vita. Cosa ne sarebbe allora di me se tu mi scacciassi e mi ripudiassi?"

(Ondina - Friedrich de La Motte Fouqué, 1811)

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A Bacharach, sul Reno,
abitava una maga.
Era d’aspetto fine e bello
e molti cuori incantava.

E portò rovina a molti
uomini della sua terra,
dai suoi lacci d’amore non si
trovava più salvezza.
(Zu Bacharach am Rhein, ballata di Clemens Brentano, 1810)


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Stille d’acqua come leggiadre fanciulle e un fiore magico come la felce di San Giovanni, nel sogno di Enrico d'Ofterdingen...
"Finalmente, al mattino, come fuori cominciava ad albeggiare, si calmò la sua anima e le immagini divennero più chiare e più fisse. Gli parve allora di andare solo in una oscura foresta. Solo di rado brillavano i raggi di luce attraverso l'intricato fogliame. E poco dopo giunse dinanzi a una parete che saliva su. Egli doveva arrampicarsi su per pietre coperte di muschio, che la corrente di prima aveva trascinato in basso. Più saliva, più la foresta si rischiarava. Finalmente giunse a un piccolo prato, sul pendio del monte. Di là dal prato si innalzava alto uno scoglio, ai piedi del quale scorse un’apertura, che gli parve il principio di una strada scavata nella roccia. La strada lo condusse, dopo uno' di tempo, a una ampia caverna, da dove -sin da lontano- aveva visto risplendergli contro una chiara luce. Come fu entrato, vide un gran raggio che veniva su come da una sorgente e si alzava sino al soffitto della volta, e là in alto si scomponeva in innumerevoli scintille, che si riunivano poi sotto in una grande vasca: il raggio riluceva come oro acceso: non si udiva il minimo rumore; un sacro silenzio circondava il mirabile spettacolo. Egli si avvicinò alla vasca che ondeggiava, tremolando, in infiniti colori: le pareti della caverna erano ricoperte da questo liquido, che non era caldo, ma freddo e che dava alle pareti una luce opaca e bluastra. Tuffò la mano nella vasca e si bagnò le labbra. Fu come se un soffio divino fosse penetrato in lui ed egli si sentì internamente più forte e rinfrescato. Lo prese un desiderio irresistibile di bagnarsi: si svestì ed entrò ne la vasca. Gli parve come lo avvolgesse tutta una nuvola nel tramonto: una celestiale sensazione traboccava dal suo interno: con intima voluttà innumerevoli pensieri tendevano a fondersi in lui: figure nuove, non mai vedute sorgevano, che si confondevano fra loro, e gli prendevano vita davanti, e ogni onda del soave elemento gli aderiva come un petto delicato. L'acqua pareva come la dissoluzione di leggiadre fanciulle, che prendevano corpo di un tratto accanto al giovane. Inebriato dall'incanto e pur conscio di ogni impressione, egli nuotava dentro la corrente che luceva, e che, dalla fontana, scorreva giù nelle rocce. Lo assalì un sopore dolce, in cui sognò cose indescrivibili. Si trovò su un molle prato, presso alla sponda di una sorgente, che spillava in alto nell'aria e pareva poi perdersi.
Gocce cupe coi filoni coloriti, si innalzavano in lontananza; la luce del giorno che lo avvolgeva era più chiara e più lieve che al solito, il cielo era azzurro cupo e terso. Ma quel che potentemente lo attirò, fu un fiore azzurro, che stava in alto vicino alla sorgente e lo sfiorava colle sue larghe foglie lucenti. Attorno al fiore ce n'erano altri ancora di mille colori e l'aria era riempita del più soave profumo. Ma egli non vedeva altro che il fiore azzurro, e seguitò a guardarlo a lungo con dolcezza ineffabile. Infine volle avvicinarsi: ma allora il fiore cominciò a muoversi e a cambiarsi: le foglie divennero più splendenti e si ripiegarono sino allo stelo diritto, il fiore piegò sino a lui e le foglie mostrarono una azzurra corolla aperta, nella quale ondulava un leggiadro viso.

Il suo dolce stupore crebbe al meraviglioso mutamento: ma d'un tratto la voce di sua madre lo risvegliò e egli si ritrovò nella camera dei genitori, già indorata dal sole della mattina. Egli era troppo estasiato per sdegnarsi: dette affabilmente il buon giorno a sua madre e le restituì l'abbraccio affettuoso."
(Enrico d'Ofterdingen - Novalis)

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La Lorelei (o Loreley, o Lore Ley), l'ondina del Reno immortalata dagli artisti e immortalata dal suo greve destino...

La Loreley

Lassù il vento torceva i suoi capelli sciolti
Gridavano i cavalieri Loreley Loreley
Lontano lontano sul Reno una navicella s’avvicina
E vi è sopra il mio amante mi ha vista e mi chiama
Così dolce diventa il mio cuore è il mio amore che viene
Si sporge allora e cade nel Reno
Per aver visto nell’acqua la bella Loreley
I suoi occhi renani e i suoi capelli d’oro.
(Guillaume Apollinaire)


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La Lore Ley

Io non so che voglia dire
che son triste, così triste.
Un racconto d’altri tempi
nella mia memoria insiste.

Fresca è l’aria e l’ombra cala,
scorre il Reno quietamente;
sopra il monte raggia il sole
declinando all’occidente.

La bellissima fanciulla
sta lassù, mostra il tesoro
dei suoi splendidi gioielli,
liscia i suoi capelli d’oro.

Mentre il pettine maneggia,
canta, e il canto ha una malia
strana e forte che si effonde
con la dolce melodia.

Soffre e piange il barcaiolo,
e non sa che mal l’opprima,
più non vede scogli e rive,
fissi gli occhi ha su la cima.

Alla fine l’onda inghiotte
barcaiolo e barca… Ed ahi!
Questo ha fatto col suo canto
la fanciulla Lorelei.
(di Heinrich Heine - trad. Diego Valeri)


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Rusalka
Le Rusalki, mitiche creature dei fiumi e dei laghi nel folclore slavo: sempre nel panorama di quel simbolismo mitteleuropeo che fece emergere le ondine dai flutti delle riminiscenze popolari, nasce -nel 1901- l’opera di Antonin Dvořák, “Rusalka”:

Rusalka:
Vorrei andarmene da voi, abbandonare le profondità,
essere un'umana e vivere sotto il sole dorato!
[...]
Viene spesso qui,
viene verso di me,
si spoglia sulla riva
e si bagna fra le mie braccia.
Io non sono che una semplice onda,
il mio essere non lo può afferrare,
ma, lo presento,
se un giorno fossi umana,
così come io lo abbraccio,
così come mi avvolgo fra le sue braccia,
anche lui mi abbraccerebbe
e mi coprirebbe di baci appassionati.
[…]
E’ inutile, inutile, inutile!
Il vuoto assoluto colma il mio cuore!
Tutto il mio fascino è vano,
perché io sono solo per metà umana!
È tutto inutile! Non vuole più saperne di me,
Rusalka, semplice creatura.
I suoi occhi bruciano di passione,
quella maledetta passione umana.
Io sono nata in acque gelide,
non conosco tale passione.
È tutto inutile, etc.
Sono maledetta da te, perduta per lui.
Nient'altro che una debole eco degli elementi primordiali.
Né donna, né ninfa. Non sono nulla.
Non posso morire. Non posso vivere.
(testo dal libretto dell'opera)


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Ondine - Claude Debussy, con le immagini della "serie delle Ninfee" di Claude Monet:


La Mélisande di Maeterlinck: un’entità fatata d’Acqua e di Luce


E dopo il fatato corteo di ondine e di ninfe cantate dai grandi artisti che per primi ne cristallizzarono le memorie popolari in opere di somma letteratura, il navigante approda ai lidi ai quali la triste Mélisande non sente di appartenere…
Per Mélisande una nascita apollinea che racchiude il suo destino: “nata una domenica a mezzodì”.
Il meriggio, quell’inquietante stasi narrata –e scoraggiata- da millenni: come il sonno di Pan, come i satiri e le ninfe di Ausonio nelle acque della Mosella, e come l’ora della scomparsa (o del passaggio?) delle fanciulle in “Picnic a Hanging Rock”, moderna narrazione con substrato esoterico. Meriggio, cruciali momento e spazio di accesso tra un mondo e “l’altro”, tra le colonne, iniziando "in grazia dell'ora e dell'età".
E di nuovo l’immagine di una incantevole creatura di natura acquatica che espone e pettina i lunghissimi capelli, dall’alto come la Lorelei e come altre entità fatate.

I miei lunghi capelli scendono fino ai piedi della torre;
I miei capelli vi attendono lungo tutta la torre,
E lungo tutto il giorno,
E lungo tutto il giorno.
San Daniele e San Michele,
San Michele e San Raffaele,
Sono nata una domenica,
Una domenica a mezzodì...



Il demone del meriggio:

Pelléas: Suonava mezzodì allor che l'anello è caduto.

Golaud: Ma non so spiegarmi com'è accaduto.
Cacciavo tranquillo nella foresta.
Il mio cavallo m'ha preso la mano d'un colpo senza ragione...
Hai visto qualcosa di strano?...
Avevo appena sentito i dodici tocchi di mezzodì.
Al dodicesimo tocco, si spaventa all'improvviso,
e come un cieco folle corre contro un albero!



L'indeterminatezza di spazio e tempo:

Mélisande: Non sono di qui...
Non sono nata là...

Pelléas: Avremo una tempesta questa notte;
ve ne sono da qualche tempo tutte le notti
eppure il mare è sì calmo adesso!
Si salperebbe senza saperlo e non si tornerebbe più.

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(testo dal libretto dell’opera Pelléas et Mélisande di Claude Debussy.
Immagine: fotografia di Mary Garden, la prima interprete di Mélisande, nel 1902, negli abiti di scena)


Mélisande, affinità acquatiche tra Maeterlinck e Debussy
Il compositore Claude Debussy doveva aver subito sentito un’affinità con l’opera del drammaturgo belga Maurice Maeterlinck, ravvisando quella stessa affinità con l’elemento Acqua che permeava “Pelléas et Mélisande”. Scrive il Prof. Alessandro Nardin nel suo saggio “Debussy l'Esoterista. Sulle tracce del mistero”, Ed. Jouvence:
“Ecco in gioco tutti i più frequenti elementi della poetica debussyana: la natura viva e sonora, il protagonismo dei simboli liquidi dell’universo ermetico, il silenzio timoroso e rispettoso degli iniziati. […]È un simbolo la cui potenza è già comunque chiara, fresca e dolce: Mélisande è l’Acqua, è mea domina, e il musicista mistico ne è scudiero e devoto servitore.[…] Le acque di Pelléas et Mélisande tracimano dalla storia alla musica, dilagando nella partitura, annegando i confini, sommergendo ogni forma: un fluttuante declamato si intreccia all’ondeggiare perpetuo dell’orchestra. Non solo le scene esplicitamente “ liquide” (la fontana, il mare, i sotterranei…) ma tutta l’opera risulta intrisa da pulsazioni ondivaghe che bramano solo di tornare a un punto di partenza che sembra esistere da sempre e non rivelarsi mai.
E’ nella tecnica compositiva di Debussy, nel cuore della sua arte, che risiede l’autentica liquidità della sua musica: al di là di titoli, programmi o dichiarazione di intenti, egli restituisce all’ascoltatore quel senso di fluidità mediante una serie di soluzioni tecniche e stilistiche che, più che tradurre in suoni una certa immagine, adattano i suoni a una coincidenza elementale con l’acqua.”

Pelléas: È fresca come l'inverno.
È una vecchia fontana abbandonata.
Pare fosse una fontana miracolosa,
apriva gli occhi dei ciechi,
la chiamano ancora «la fontana dei ciechi».
[...]
V'è sempre uno strano silenzio...
Si sentirebbe l'acqua dormire...


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Allo scopo di esprimere l’indistinto fenomeno di appartenenza all’elemento acqua delle creature liminali quali le ondine, le ninfe, le nereidi, ecc., in letteratura e nella produzione lideristica l’acqua è stata descritta in tutte le sue manifestazioni: benefica e limpida, putrida o torbida; spumeggiante, ribollente, oppure placida… Anche in Pelléas e Mélisande, Debussy e Maeterlinck hanno saputo rendere con partecipazione lo spirito delle acque interpreti del dramma. Acque animate permeano l’universo dell’ondina Mélisande, nel bene e nel male:

Golaud: Ebbene, ecco l'acqua stagnante di cui vi parlavo...
Sentite l'odore di morte che sale?
Andiamo fino all'orlo di questa roccia che strapiomba e sporgetevi un poco;
vi colpirà nel volto.
Sporgetevi; non abbiate paura... vi terrò, datemi...
No, no, non la mano... potrebbe scivolare.., il braccio. Vedete la voragine, Pelléas?

Pelléas: C'è un'aria umida e pesante come una rugiada di piombo,
e tenebre spesse come una sostanza velenosa.
E adesso, tutta l'aria di tutto il mare!...
C'è un vento fresco, ecco, fresco come una foglia che s'è appena dischiusa,
su piccole verdi onde.
Ecco! Hanno appena innaffiato i fiori sull'orlo della terrazza
e sale fin qui l'odore della verzura e delle rose bagnate.
Dev'essere quasi mezzodì, i fiori son già nell'ombra della torre...
È mezzodì, sento suonare le campane,
e i bambini scendon verso la spiaggia per bagnarsi...
To', ecco nostra madre e Mélisande a una finestra della torre...

Pelléas a Mélisande: Sembra che la tua voce sia trascorsa sul mare a primavera!...
Non l'ho mai intesa finora.
Sembra sia piovuto sul mio cuore!...
[…]
La tua voce! la tua voce...
È più fresca e limpida dell'acqua!...
Sembra dell'acqua pura sulle mie labbra...
Sembra dell'acqua pura sulle mie mani...

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Scrive Debussy nel pieno del fervore creativo di Pelléas e Mélisande:
“Ho cercato di esprimere il grande mistero della notte, quando, nel più assoluto silenzio, anche un filo d’erba, disturbato nel sonno, fa un rumore molto inquietante; poi è la volta del mare, lì vicino, che racconta le proprie pene alla luna: Pelléas e Mélisande non osano parlare e mezza tanto mistero.”
e:
“Ho finito anche la scena dell’uscita dei sotterranei […] E’ piena di sole. ma di un solo è bagnato dal mare -questa nostra buona madre- spero che faccia buona impressione.”
(testo adattato da “Debussy l'Esoterista. Sulle tracce del mistero”, di Alessandro Nardin, Ed. Jouvence)

La cura, il sentimento e il coinvolgimento emotivo che ebbero gli artisti nel descrivere gli elementi e gli elementali ci dice con quale consapevolezza era preso in considerazione l’universo delle creature fatate e fa di queste letture e di queste musiche un momento esperienziale perfetto per addentrarci nei mondi fatati da cui ogni tanto giungono le entità liminali. Ora potremmo persino desiderare di non farne ritorno...



Per approfondire la figura di Mélisande, anche nel contesto degli studi sull'esoterismo di Debussy e del suo periodo storico e musicale, il Prof. Alessandro Nardin -che ringrazio delle ispirazioni che mi ha donato con i suoi libri- ci propone l'interessante saggio: "Pelleas et Mélisande tra Maeterlinck e Debussy. Il simbolo oltre il simbolismo", Ed. Irfan:



Spunti moderni di metafore liquide:


Caput mortuum, scorie e rinascita nella metafora liquida del fango:
“Oh! materno fossato, quasi pieno di un’acqua fangosa! Bel fossato d’officina! Io gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese.... Quando mi sollevai — cencio sozzo e puzzolente — di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia.! […]Allora, col volto coperto della buona melma delle officine — impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti — noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra..."

(I Manifesti del futurismo, F. T. Marinetti – 1909)


Le ondine secondo Jung:
Chi guarda nell'acqua vede, è vero, la propria immagine, ma ben presto dietro di essa emergono creature viventi, probabilmente pesci, innocui abitatori del profondo - innocui, se il lago non fosse per molti abitato da spettri, da esseri acquatici di tipo speciale. Talvolta rimane impigliata nella rete del pescatore un'ondina, pesce femminile semiumano. Le ondine sono creature ammaliatrici:

Per metà lei lo tirò, per metà egli affondò
E nessuno lo vide più.

L'ondina rappresenta un livello ancor più istintuale del magico essere femminile che io designo con il termine latino Anima. Può trattarsi anche di sirene, melusine, ninfe dei boschi, grazie, figlie del re degli elfi, lamie e succubi che seducono i giovani e succhiano loro la vita. Queste figure, dirà il critico moralista, sono proiezioni di stati d'animo pieni di bramosie e di fantasie riprovevoli. Non si può negare che una tale posizione sia, entro certi limiti, giustificata. Ma è tutta la verità? L'ondina è solo il prodotto di un rilassamento morale? Non sono già esistiti molto tempo fa esseri simili, in un'epoca in cui la coscienza umana, ancora ai suoi albori, era completamente fusa con la natura? Gli spiriti dei boschi, dei campi e dei corsi d'acqua sono assai anteriori al problema della coscienza morale. Inoltre, questi esseri erano temuti oltre che amati, sicché non erano caratterizzati soltanto dai loro particolari atteggiamenti erotici. La coscienza era allora molto più semplice, e la sua consistenza irrisoria. Presso i primitivi, un enorme ammontare di ciò che noi oggi sentiamo come parte integrante del nostro essere psichico è tranquillamente proiettato oltre lontani confini....

(Gli archetipi dell'inconscio collettivo - C.G.Jung)

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Se siete interessati alle fonti scrivetemi in privato poichè la bibliografia, anche per le foto, è piuttosto lunga e articolata.
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Edited by Deomira ErbaLuna - 20/6/2020, 11:51
 
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:kss: magnifico post. Adoro le favole che parlano di fate, gnomi e tutto il resto, bello leggere queste leggende sulle ondine. :fcat:
 
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1 replies since 18/6/2020, 23:26   252 views
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