PIETRE DI LUNA - vie pagane

Posts written by Deomira ErbaLuna

view post Posted: 28/7/2020, 19:56 LAMMAS - LA MAGIA DEL PANE - CUCINA MAGICA

LAMMAS - LA MAGIA DEL PANE

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Lo avevamo già scritto in occasione delle celebrazioni del 1° maggio: ciò che muove il mondo è il cibo per antonomasia: il pane: sia di frumento che di altri cereali, con i suoi carboidrati è stato di nutrimento sin da quando l’Uomo ha compreso come sfruttare i chicchi di grano, di miglio, di segale, di avena, di orzo, di farro e di altre piante a seconda delle zone in cui viveva; “pane di vita” è un attributo ben precedente al cristianesimo: nella preistoria il pane era fatto in un modo così elementare da fare tenerezza: si macinavano i chicchi di cereale usando delle pietre, poi si impastava con acqua la farina ottenuta e si metteva a cuocere l’impasto sopra una pietra arroventata dal fuoco. In modo non dissimile da come anche oggi si opera la panificazione: alla regola di base, mischiare acqua con farine, abbiamo semplicemente aggiunto altri ingredienti per il gusto del palato, creando anche pasta, zuppe e dolciumi. Se ci pensiamo, questa semplicità continua a stupirci, ma ciò che è importante è avere la consapevolezza dell’immensa importanza che i cereali continuano ad avere per l’intera umanità: basta dare un’occhiata alla Borsa Merci e alle transazioni finanziarie mondiali: le quotazioni borsistiche dei cereali influenzano enormemente il mercato globale. Vi sono Paesi che con le loro estese coltivazioni impattano fortemente sui commerci: se una di queste nazioni dal forte indotto cerealicolo ha una crisi politica o una contingenza di embargo, l’equilibrio dell’intero trading mondiale è minacciato perché le merci più importanti al mondo sono il riso, il frumento, il mais e le altre farine: il commercio di cereali è in assoluto la più influente transazione economica mondiale e dagli economisti è considerato la cartina di tornasole delle economie globali. Un piccolo esempio nostrano: come molti Paesi, anche l’Italia importa cereali dalla Russia, sia per l’alimentazione umana che per rifornire i nostri allevamenti di animali da carne: a ogni minimo cenno di crisi russa, il mercato italiano sobbalza e la crisi si ramifica in altrettante impasse a livello locale, magari sino a mettere in stallo finanziario l’azienda che poi metterà in cassa integrazione nostro marito, nostra moglie, i nostri figli

La rilevanza mondiale dei cereali dovrebbe quindi farci riflettere: ciò che i nostri antenati ritenevano sacro avrà anche perso di sacralità in questa attuale era mondana e nichilista, ma non ha perso la sua influenza poiché non c’è alimentazione che non contempli il consumo di cereali. Gli Antichi rispettavano, celebravano e onoravano il pane, e i poeti e gli scrittori rafforzarono quel sacro legame con parole meravigliose:

Fu Cerere la prima, che tratti gli uomini ad alimenti migliori cangiò le ghiande in più utile cibo
da "I fasti" di Ovidio Nasone, traduzione di G. A. Gallerone



Ceres frumenta, cum antea glande vescerentur, eadem molere et conficere in Attica, ut alii, et in Sicilia, ob id dea iudicata.
(Trad.: Cerere creò il frumento, mentre prima si cibavano di ghiande, insegnò lei stessa a macinarlo e a lavorarlo in Attica e, secondo altri, in Sicilia, per questo fu giudicata Dea)
da "Naturalis Historia" di Plinio il Vecchio, Libro 07, paragrafo 191


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INNO A CERERE
da "Le Metamorfosi" di Apuleio

<<Regina caeli, sive tu Ceres
alma frugum parens originalis,
quae, repertu laetata filiae,
vetustatae glandis ferino remoto pabulo,
miti commostrato cibo nunc
Eleusiniam glebam percolis
>>

Trad.: <<o Regina del cielo, tu feconda Cerere,
prima creatrice delle messi,
che, nella gioia di aver ritrovato tua figlia,
eliminasti l'antica usanza
di nutrirsi di ghiande come le fiere,
rivelando agli uomini un cibo più mite,
ora dimori nella terra di Eleusi.>>

(tratto da: http://admaioravertite.tumblr.com/post/372...e-tu-ceres-alma


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Come oggigiorno è importante una transazione finanziaria andata a buon fine nella negoziazione di prodotti cerealicoli, e i “colletti bianchi” la festeggeranno con un brindisi salottiero, nei tempi antichi, ma anche in tempi recenti come ci raccontano i nostri anziani e come vediamo nei Paesi poveri, è sempre stato importante festeggiare un raccolto andato a buon fine: alla metà dell’estate, quando l’evidenza di un raccolto fruttifero si manifestava nella magnificenza e nell’abbondanza delle spighe mietute, le genti si riunivano in festa, e i festeggiamenti si coniugavano con celebrazioni e rituali più mistici, sacri, arcani:

La madre del grano compie una parte importante nelle usanze della mietitura. Si crede ch'ella sia presente nel fascio di spighe che si lascia per ultimo in piedi sul campo e, tagliandolo, essa viene presa, cacciata via o uccisa. Nel primo di questi casi, l'ultimo covone viene portato gioiosamente a casa e onorato come un essere divino. Vien posto nel granaio e alla battitura lo spirito del grano ricompare di nuovo. (James Frazer – Il Ramo d’oro, pag.634)

L’effigie dello spirito del grano fatta alla mietitura viene spesso conservata sino alla mietitura seguente quando viene sostituita da un'altra nuova. Lo scopo originario di tali costumi era senza dubbio di mantenere in vita lo spirito della vegetazione per tutto l'anno. (James Frazer – Il Ramo d’oro, pag. 560)

Al principio della semina, come al principio della mietitura, l'agricoltore si lava, fa il bagno, mette la camicia pulita, eccetera. Si compie tutta una stessa serie di gesti rituali all'inizio della semina e della mietitura, e la coincidenza non è fortuita: la semina e il raccolto segnano i momenti culminanti del dramma agrario. I gesti con cui si dà principio ad essi rappresentano, in fondo, sacrifici che tendono a farli riuscire bene. Così, i primi acini di grano non sono seminati, ma gettati fuori del solco, come offerta ai vari geni (i morti, i venti, la “dea del grano”, eccetera); parimenti, alla mietitura, le prime spighe sono lasciate sul campo, per gli uccelli o per gli angeli, per le ‘tre vergini’, per la “Madre del grano” eccetera. E i sacrifici fatti al momento della semina si ripetono cominciando la mietitura e la battitura.
(Mircea Eliade – Trattato di storia delle religioni, 127 - Offerte agrarie)

In Estonia il primo covone possiede poteri profetici; gettando le sue spighe secondo un certo cerimoniale, le ragazze vengono a sapere quale si sposerà per prima. Invece, in Scozia, colui che falcia l'ultimo covone—chiamato ‘la fanciulla’—prenderà moglie entro l'anno, e per questo i mietitori ricorrono a vari stratagemmi per impadronirsene. In molti paesi, l'ultimo pugno di spighe tagliate si chiama ‘la sposa’. Il prezzo che raggiungerà il grano durante l'anno si può indovinare, in certe parti della Germania, con l'aiuto del primo covone. In Finlandia e in Estonia, i mietitori si affrettano a raggiungere l'ultima fila di spighe; i Finni la chiamano ‘culla del bambino’ e credono che la donna che lega quel grano resterà incinta. Nelle stesse regioni, come nei paesi germanici, si trova molto spesso l'usanza di fare con le ultime spighe un covone enorme, per garantire un buon raccolto l'anno seguente; per questo, all'epoca della semina, si mescola alla sementa qualche granello di quelle spighe. (Mircea Eliade – Trattato di storia delle religioni, 128 - Potenza ̄del raccolto.)

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DELLA SACRALITA' DEL PANE: ANTICHI RITUALI E NUOVI GESTI


Pane rituale, pane devozionale: riti cristiani nella panificazione, un'antica tradizione che affonda le radici in un passato molto remoto.
Qualche spunto di approfondimento:

- In Sardegna, la nota iniziativa museale: MUSEO DEL PANE RITUALE DI BORORE

- Dal sito "Antro di Chirone": La sacralità del pane. Considerazioni sulla panificazione devozionale in Italia

- Sardegna Digital Library: immagini

- Un antico rituale: la festa del pane

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A seconda della tradizione che seguite sceglierete i rituali a voi più famigliari e se non praticate alcun rito o se non avete tempo per celebrare, basta semplicemente che organizziate un ritrovo conviviale in cui servire i prodotti del raccolto: pane, pasta e cereali. La convivialità, in armonia con amici o parenti, è il modo più sommo di ringraziare Madre Natura per ciò che ci dona.

Se volete addobbare il luogo in cui praticate, ecco qualche semplice consiglio:
predisponete sull’altare delle spighe di grano, delle ciotole con semi di orzo, frumento o altri cereali e del pane preferibilmente decorato con spighe o pannocchie.

Potete anche fare voi stessi del pane in modo semplicissimo e veloce: in rete ci sono molti tutorial per fare del pane sottile cotto in padella antiaderente, oppure potete prendere della pasta sfoglia già pronta, ricavarne dei dischetti e cuocerli sempre in padella antiaderente dopo averli decorati disegnandovi sopra una spiga.

Qualche spunto dal web: Greenme: 10 ricette di pane fatto in casa senza cottura in forno

°Ricette per celiaci:
Arepas in padella antiaderente

Pane veloce in padella senza glutine senza lievito

Celiachiamocongusto.it - Pane veloce in padella senza glutine

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E’ uso creare delle bamboline con le foglie di granturco. In rete ci sono molti tutorial: per esempio cercate “corn doll”:

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Qui il nostro facile tutorial: #entry586413458

Ed ecco un tutorial video, tratto dal canale del Fuso della Strega:


Un altro spunto dal canale di Skayler:

WITCH-CRAFT : CORN DOLL di Lughnasadh:



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Per approfondire:

LAMMAS - LUGHNASADH - LUNASA: LA FESTA DEL RACCOLTO

La civiltà del Pane

Il Fuso della Strega - Facebook

BMTI Cereali - Borsa Merci Telematica Italiana

Il più grande esportatore di cereali al mondo

La rivoluzione agricola della Russia che può cambiare il mondo


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Edited by Deomira ErbaLuna - 28/7/2020, 21:27
view post Posted: 18/6/2020, 23:26 FATE E METAFORE ACQUATICHE - LANDE FATATE

FATE E METAFORE ACQUATICHE
tra folclore, Romanticismo e Simbolismo

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Alberico: Come splendete nel chiarore
luminose e belle!
Ben lieto il mio braccio
cingerebbe una di voi snelle,
s'ella con grazia guizzasse quaggiù!
(Das Rheingold - Richard Wagner)


Fino all’Ottocento e al primo Novecento le fiabe e le leggende conservavano una dimensione “adulta”, connessa con la profondità esoterica e spirituale dei miti che le hanno generate. Negli ambienti artistici, dell’arte in tutte le sue espressioni: musicale, letteraria, visiva, poetica, ecc., gli intellettuali si interessavano degli elementi esoterici e mitologici delle fiabe, immettendoli nelle proprie opere.
In seguito le fiabe sono state relegate a dimensione infantile, a folclore, ritenute -per costrutto e per finalità- inutili. Persino in ambiente accademico il mondo della fiaba è stato snobbato e giudicato irrazionale.
Ora la nostra rinata anima pagana, infine scevra dei condizionamenti religiosi dei monoteismi, si riappropria di quella dimensione primeva, riapprezzando quelle opere che, pur mediante metafore e allegorie, hanno mantenuto vivi gli arcaici miti.

Anche le fate, protagoniste di numerose di queste opere, sono sopravvissute alla weltanschauung cristiana celate sotto il drappo di novelle, di canti, di opere liriche, di musica, di narrativa, di poesia, di teatro, di arte...
Fata è un termine usato spesso in modo generico e omnicomprensivo, e può contemplare anche le entità acquatiche, come le ninfe, le ondine, le anguane e altri esseri affini all’elemento acqua. Parlarne ora significa essere reputati sognatori, e fino a poco tempo fa era persino ritenuto pericoloso citarle.

Sulla soglia del solstizio estivo, quando il velo tra i mondi si dischiude, fluttuiamo nel multiverso con le fate, oltre le porte della percezione, ondeggiando e cullandoci con metafore acquatiche…

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Il destino di un'Ondina...
"Devi sapere, mio dolce amato, che negli Elementi vi sono esseri in apparenza simili a voi, che però assai raramente si lasciano cogliere dal vostro sguardo. Tra le fiamme sfavillano e giocano strane Salamandre; nelle profondità della terra abitano gli Gnomi scarni e maligni; per i boschi vagano i Folletti che appartengono all’aria e nei mari, tra le correnti e i ruscelli, vive e si propaga la razza degli Spiriti delle Acque. [...] Tu, mio caro, vedi davanti a te un’Ondina. [...] Noi saremmo di gran lunga migliori di voialtri umani, perché anche noi ci chiamiamo uomini e siamo anche simili nella conformazione del corpo, ma c’è qualcosa di diverso. Noi e i nostri simili degli Elementi ci disperdiamo e periamo anima e corpo, per cui non ne rimane alcuna traccia, mentre voi un giorno vi ridesterete ad una vita più pura, noi rimarremo dove sabbia e scintilla, vento ed onda, rimarranno. Perciò non abbiamo neppure un’anima; l’Elemento ci muove e ci asseconda spesso finché siamo in vita, ma appena moriamo ci distrugge. [...] Tutti vogliono essere più in alto di come sono. Perciò mio padre, che è un potente principe delle acque nel mare Mediterraneo, volle che la sua unica figlia divenisse partecipe di un’anima e sopportasse anche i molti affanni delle creature umane. Una di noi può guadagnarsi un’anima solo grazie alla più intima unione d’amore con uno della vostra specie. Ora io posseggo un’anima, grazie a te, mio indicibile amore, e ti sarò grata se tu non mi farai infelice per tutta la vita. Cosa ne sarebbe allora di me se tu mi scacciassi e mi ripudiassi?"

(Ondina - Friedrich de La Motte Fouqué, 1811)

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A Bacharach, sul Reno,
abitava una maga.
Era d’aspetto fine e bello
e molti cuori incantava.

E portò rovina a molti
uomini della sua terra,
dai suoi lacci d’amore non si
trovava più salvezza.
(Zu Bacharach am Rhein, ballata di Clemens Brentano, 1810)


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Stille d’acqua come leggiadre fanciulle e un fiore magico come la felce di San Giovanni, nel sogno di Enrico d'Ofterdingen...
"Finalmente, al mattino, come fuori cominciava ad albeggiare, si calmò la sua anima e le immagini divennero più chiare e più fisse. Gli parve allora di andare solo in una oscura foresta. Solo di rado brillavano i raggi di luce attraverso l'intricato fogliame. E poco dopo giunse dinanzi a una parete che saliva su. Egli doveva arrampicarsi su per pietre coperte di muschio, che la corrente di prima aveva trascinato in basso. Più saliva, più la foresta si rischiarava. Finalmente giunse a un piccolo prato, sul pendio del monte. Di là dal prato si innalzava alto uno scoglio, ai piedi del quale scorse un’apertura, che gli parve il principio di una strada scavata nella roccia. La strada lo condusse, dopo uno' di tempo, a una ampia caverna, da dove -sin da lontano- aveva visto risplendergli contro una chiara luce. Come fu entrato, vide un gran raggio che veniva su come da una sorgente e si alzava sino al soffitto della volta, e là in alto si scomponeva in innumerevoli scintille, che si riunivano poi sotto in una grande vasca: il raggio riluceva come oro acceso: non si udiva il minimo rumore; un sacro silenzio circondava il mirabile spettacolo. Egli si avvicinò alla vasca che ondeggiava, tremolando, in infiniti colori: le pareti della caverna erano ricoperte da questo liquido, che non era caldo, ma freddo e che dava alle pareti una luce opaca e bluastra. Tuffò la mano nella vasca e si bagnò le labbra. Fu come se un soffio divino fosse penetrato in lui ed egli si sentì internamente più forte e rinfrescato. Lo prese un desiderio irresistibile di bagnarsi: si svestì ed entrò ne la vasca. Gli parve come lo avvolgesse tutta una nuvola nel tramonto: una celestiale sensazione traboccava dal suo interno: con intima voluttà innumerevoli pensieri tendevano a fondersi in lui: figure nuove, non mai vedute sorgevano, che si confondevano fra loro, e gli prendevano vita davanti, e ogni onda del soave elemento gli aderiva come un petto delicato. L'acqua pareva come la dissoluzione di leggiadre fanciulle, che prendevano corpo di un tratto accanto al giovane. Inebriato dall'incanto e pur conscio di ogni impressione, egli nuotava dentro la corrente che luceva, e che, dalla fontana, scorreva giù nelle rocce. Lo assalì un sopore dolce, in cui sognò cose indescrivibili. Si trovò su un molle prato, presso alla sponda di una sorgente, che spillava in alto nell'aria e pareva poi perdersi.
Gocce cupe coi filoni coloriti, si innalzavano in lontananza; la luce del giorno che lo avvolgeva era più chiara e più lieve che al solito, il cielo era azzurro cupo e terso. Ma quel che potentemente lo attirò, fu un fiore azzurro, che stava in alto vicino alla sorgente e lo sfiorava colle sue larghe foglie lucenti. Attorno al fiore ce n'erano altri ancora di mille colori e l'aria era riempita del più soave profumo. Ma egli non vedeva altro che il fiore azzurro, e seguitò a guardarlo a lungo con dolcezza ineffabile. Infine volle avvicinarsi: ma allora il fiore cominciò a muoversi e a cambiarsi: le foglie divennero più splendenti e si ripiegarono sino allo stelo diritto, il fiore piegò sino a lui e le foglie mostrarono una azzurra corolla aperta, nella quale ondulava un leggiadro viso.

Il suo dolce stupore crebbe al meraviglioso mutamento: ma d'un tratto la voce di sua madre lo risvegliò e egli si ritrovò nella camera dei genitori, già indorata dal sole della mattina. Egli era troppo estasiato per sdegnarsi: dette affabilmente il buon giorno a sua madre e le restituì l'abbraccio affettuoso."
(Enrico d'Ofterdingen - Novalis)

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La Lorelei (o Loreley, o Lore Ley), l'ondina del Reno immortalata dagli artisti e immortalata dal suo greve destino...

La Loreley

Lassù il vento torceva i suoi capelli sciolti
Gridavano i cavalieri Loreley Loreley
Lontano lontano sul Reno una navicella s’avvicina
E vi è sopra il mio amante mi ha vista e mi chiama
Così dolce diventa il mio cuore è il mio amore che viene
Si sporge allora e cade nel Reno
Per aver visto nell’acqua la bella Loreley
I suoi occhi renani e i suoi capelli d’oro.
(Guillaume Apollinaire)


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La Lore Ley

Io non so che voglia dire
che son triste, così triste.
Un racconto d’altri tempi
nella mia memoria insiste.

Fresca è l’aria e l’ombra cala,
scorre il Reno quietamente;
sopra il monte raggia il sole
declinando all’occidente.

La bellissima fanciulla
sta lassù, mostra il tesoro
dei suoi splendidi gioielli,
liscia i suoi capelli d’oro.

Mentre il pettine maneggia,
canta, e il canto ha una malia
strana e forte che si effonde
con la dolce melodia.

Soffre e piange il barcaiolo,
e non sa che mal l’opprima,
più non vede scogli e rive,
fissi gli occhi ha su la cima.

Alla fine l’onda inghiotte
barcaiolo e barca… Ed ahi!
Questo ha fatto col suo canto
la fanciulla Lorelei.
(di Heinrich Heine - trad. Diego Valeri)


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Rusalka
Le Rusalki, mitiche creature dei fiumi e dei laghi nel folclore slavo: sempre nel panorama di quel simbolismo mitteleuropeo che fece emergere le ondine dai flutti delle riminiscenze popolari, nasce -nel 1901- l’opera di Antonin Dvořák, “Rusalka”:

Rusalka:
Vorrei andarmene da voi, abbandonare le profondità,
essere un'umana e vivere sotto il sole dorato!
[...]
Viene spesso qui,
viene verso di me,
si spoglia sulla riva
e si bagna fra le mie braccia.
Io non sono che una semplice onda,
il mio essere non lo può afferrare,
ma, lo presento,
se un giorno fossi umana,
così come io lo abbraccio,
così come mi avvolgo fra le sue braccia,
anche lui mi abbraccerebbe
e mi coprirebbe di baci appassionati.
[…]
E’ inutile, inutile, inutile!
Il vuoto assoluto colma il mio cuore!
Tutto il mio fascino è vano,
perché io sono solo per metà umana!
È tutto inutile! Non vuole più saperne di me,
Rusalka, semplice creatura.
I suoi occhi bruciano di passione,
quella maledetta passione umana.
Io sono nata in acque gelide,
non conosco tale passione.
È tutto inutile, etc.
Sono maledetta da te, perduta per lui.
Nient'altro che una debole eco degli elementi primordiali.
Né donna, né ninfa. Non sono nulla.
Non posso morire. Non posso vivere.
(testo dal libretto dell'opera)


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Ondine - Claude Debussy, con le immagini della "serie delle Ninfee" di Claude Monet:


La Mélisande di Maeterlinck: un’entità fatata d’Acqua e di Luce


E dopo il fatato corteo di ondine e di ninfe cantate dai grandi artisti che per primi ne cristallizzarono le memorie popolari in opere di somma letteratura, il navigante approda ai lidi ai quali la triste Mélisande non sente di appartenere…
Per Mélisande una nascita apollinea che racchiude il suo destino: “nata una domenica a mezzodì”.
Il meriggio, quell’inquietante stasi narrata –e scoraggiata- da millenni: come il sonno di Pan, come i satiri e le ninfe di Ausonio nelle acque della Mosella, e come l’ora della scomparsa (o del passaggio?) delle fanciulle in “Picnic a Hanging Rock”, moderna narrazione con substrato esoterico. Meriggio, cruciali momento e spazio di accesso tra un mondo e “l’altro”, tra le colonne, iniziando "in grazia dell'ora e dell'età".
E di nuovo l’immagine di una incantevole creatura di natura acquatica che espone e pettina i lunghissimi capelli, dall’alto come la Lorelei e come altre entità fatate.

I miei lunghi capelli scendono fino ai piedi della torre;
I miei capelli vi attendono lungo tutta la torre,
E lungo tutto il giorno,
E lungo tutto il giorno.
San Daniele e San Michele,
San Michele e San Raffaele,
Sono nata una domenica,
Una domenica a mezzodì...



Il demone del meriggio:

Pelléas: Suonava mezzodì allor che l'anello è caduto.

Golaud: Ma non so spiegarmi com'è accaduto.
Cacciavo tranquillo nella foresta.
Il mio cavallo m'ha preso la mano d'un colpo senza ragione...
Hai visto qualcosa di strano?...
Avevo appena sentito i dodici tocchi di mezzodì.
Al dodicesimo tocco, si spaventa all'improvviso,
e come un cieco folle corre contro un albero!



L'indeterminatezza di spazio e tempo:

Mélisande: Non sono di qui...
Non sono nata là...

Pelléas: Avremo una tempesta questa notte;
ve ne sono da qualche tempo tutte le notti
eppure il mare è sì calmo adesso!
Si salperebbe senza saperlo e non si tornerebbe più.

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(testo dal libretto dell’opera Pelléas et Mélisande di Claude Debussy.
Immagine: fotografia di Mary Garden, la prima interprete di Mélisande, nel 1902, negli abiti di scena)


Mélisande, affinità acquatiche tra Maeterlinck e Debussy
Il compositore Claude Debussy doveva aver subito sentito un’affinità con l’opera del drammaturgo belga Maurice Maeterlinck, ravvisando quella stessa affinità con l’elemento Acqua che permeava “Pelléas et Mélisande”. Scrive il Prof. Alessandro Nardin nel suo saggio “Debussy l'Esoterista. Sulle tracce del mistero”, Ed. Jouvence:
“Ecco in gioco tutti i più frequenti elementi della poetica debussyana: la natura viva e sonora, il protagonismo dei simboli liquidi dell’universo ermetico, il silenzio timoroso e rispettoso degli iniziati. […]È un simbolo la cui potenza è già comunque chiara, fresca e dolce: Mélisande è l’Acqua, è mea domina, e il musicista mistico ne è scudiero e devoto servitore.[…] Le acque di Pelléas et Mélisande tracimano dalla storia alla musica, dilagando nella partitura, annegando i confini, sommergendo ogni forma: un fluttuante declamato si intreccia all’ondeggiare perpetuo dell’orchestra. Non solo le scene esplicitamente “ liquide” (la fontana, il mare, i sotterranei…) ma tutta l’opera risulta intrisa da pulsazioni ondivaghe che bramano solo di tornare a un punto di partenza che sembra esistere da sempre e non rivelarsi mai.
E’ nella tecnica compositiva di Debussy, nel cuore della sua arte, che risiede l’autentica liquidità della sua musica: al di là di titoli, programmi o dichiarazione di intenti, egli restituisce all’ascoltatore quel senso di fluidità mediante una serie di soluzioni tecniche e stilistiche che, più che tradurre in suoni una certa immagine, adattano i suoni a una coincidenza elementale con l’acqua.”

Pelléas: È fresca come l'inverno.
È una vecchia fontana abbandonata.
Pare fosse una fontana miracolosa,
apriva gli occhi dei ciechi,
la chiamano ancora «la fontana dei ciechi».
[...]
V'è sempre uno strano silenzio...
Si sentirebbe l'acqua dormire...


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Allo scopo di esprimere l’indistinto fenomeno di appartenenza all’elemento acqua delle creature liminali quali le ondine, le ninfe, le nereidi, ecc., in letteratura e nella produzione lideristica l’acqua è stata descritta in tutte le sue manifestazioni: benefica e limpida, putrida o torbida; spumeggiante, ribollente, oppure placida… Anche in Pelléas e Mélisande, Debussy e Maeterlinck hanno saputo rendere con partecipazione lo spirito delle acque interpreti del dramma. Acque animate permeano l’universo dell’ondina Mélisande, nel bene e nel male:

Golaud: Ebbene, ecco l'acqua stagnante di cui vi parlavo...
Sentite l'odore di morte che sale?
Andiamo fino all'orlo di questa roccia che strapiomba e sporgetevi un poco;
vi colpirà nel volto.
Sporgetevi; non abbiate paura... vi terrò, datemi...
No, no, non la mano... potrebbe scivolare.., il braccio. Vedete la voragine, Pelléas?

Pelléas: C'è un'aria umida e pesante come una rugiada di piombo,
e tenebre spesse come una sostanza velenosa.
E adesso, tutta l'aria di tutto il mare!...
C'è un vento fresco, ecco, fresco come una foglia che s'è appena dischiusa,
su piccole verdi onde.
Ecco! Hanno appena innaffiato i fiori sull'orlo della terrazza
e sale fin qui l'odore della verzura e delle rose bagnate.
Dev'essere quasi mezzodì, i fiori son già nell'ombra della torre...
È mezzodì, sento suonare le campane,
e i bambini scendon verso la spiaggia per bagnarsi...
To', ecco nostra madre e Mélisande a una finestra della torre...

Pelléas a Mélisande: Sembra che la tua voce sia trascorsa sul mare a primavera!...
Non l'ho mai intesa finora.
Sembra sia piovuto sul mio cuore!...
[…]
La tua voce! la tua voce...
È più fresca e limpida dell'acqua!...
Sembra dell'acqua pura sulle mie labbra...
Sembra dell'acqua pura sulle mie mani...

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Scrive Debussy nel pieno del fervore creativo di Pelléas e Mélisande:
“Ho cercato di esprimere il grande mistero della notte, quando, nel più assoluto silenzio, anche un filo d’erba, disturbato nel sonno, fa un rumore molto inquietante; poi è la volta del mare, lì vicino, che racconta le proprie pene alla luna: Pelléas e Mélisande non osano parlare e mezza tanto mistero.”
e:
“Ho finito anche la scena dell’uscita dei sotterranei […] E’ piena di sole. ma di un solo è bagnato dal mare -questa nostra buona madre- spero che faccia buona impressione.”
(testo adattato da “Debussy l'Esoterista. Sulle tracce del mistero”, di Alessandro Nardin, Ed. Jouvence)

La cura, il sentimento e il coinvolgimento emotivo che ebbero gli artisti nel descrivere gli elementi e gli elementali ci dice con quale consapevolezza era preso in considerazione l’universo delle creature fatate e fa di queste letture e di queste musiche un momento esperienziale perfetto per addentrarci nei mondi fatati da cui ogni tanto giungono le entità liminali. Ora potremmo persino desiderare di non farne ritorno...



Per approfondire la figura di Mélisande, anche nel contesto degli studi sull'esoterismo di Debussy e del suo periodo storico e musicale, il Prof. Alessandro Nardin -che ringrazio delle ispirazioni che mi ha donato con i suoi libri- ci propone l'interessante saggio: "Pelleas et Mélisande tra Maeterlinck e Debussy. Il simbolo oltre il simbolismo", Ed. Irfan:



Spunti moderni di metafore liquide:


Caput mortuum, scorie e rinascita nella metafora liquida del fango:
“Oh! materno fossato, quasi pieno di un’acqua fangosa! Bel fossato d’officina! Io gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese.... Quando mi sollevai — cencio sozzo e puzzolente — di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia.! […]Allora, col volto coperto della buona melma delle officine — impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti — noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra..."

(I Manifesti del futurismo, F. T. Marinetti – 1909)


Le ondine secondo Jung:
Chi guarda nell'acqua vede, è vero, la propria immagine, ma ben presto dietro di essa emergono creature viventi, probabilmente pesci, innocui abitatori del profondo - innocui, se il lago non fosse per molti abitato da spettri, da esseri acquatici di tipo speciale. Talvolta rimane impigliata nella rete del pescatore un'ondina, pesce femminile semiumano. Le ondine sono creature ammaliatrici:

Per metà lei lo tirò, per metà egli affondò
E nessuno lo vide più.

L'ondina rappresenta un livello ancor più istintuale del magico essere femminile che io designo con il termine latino Anima. Può trattarsi anche di sirene, melusine, ninfe dei boschi, grazie, figlie del re degli elfi, lamie e succubi che seducono i giovani e succhiano loro la vita. Queste figure, dirà il critico moralista, sono proiezioni di stati d'animo pieni di bramosie e di fantasie riprovevoli. Non si può negare che una tale posizione sia, entro certi limiti, giustificata. Ma è tutta la verità? L'ondina è solo il prodotto di un rilassamento morale? Non sono già esistiti molto tempo fa esseri simili, in un'epoca in cui la coscienza umana, ancora ai suoi albori, era completamente fusa con la natura? Gli spiriti dei boschi, dei campi e dei corsi d'acqua sono assai anteriori al problema della coscienza morale. Inoltre, questi esseri erano temuti oltre che amati, sicché non erano caratterizzati soltanto dai loro particolari atteggiamenti erotici. La coscienza era allora molto più semplice, e la sua consistenza irrisoria. Presso i primitivi, un enorme ammontare di ciò che noi oggi sentiamo come parte integrante del nostro essere psichico è tranquillamente proiettato oltre lontani confini....

(Gli archetipi dell'inconscio collettivo - C.G.Jung)

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Edited by Deomira ErbaLuna - 20/6/2020, 11:51
view post Posted: 6/4/2020, 23:29 STREGHE E LEPRI -i racconti di W. B. Yeats- - BIBLIOTECA

STREGHE E LEPRI
-i racconti di W. B. Yeats-


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Ovunque però si ritiene che l'elemento centrale della stregoneria
stia nella facoltà di assumere delle apparenze contraffatte;
in Irlanda, di solito, quella di una lepre o di un gatto.


(William Butler Yeats - Fiabe irlandesi)


In magia e nella stregoneria anche le lepri, come altri animali, sono considerate famigli di streghe e guaritrici, dove per famiglio si intende una sorta di “aiutante esoterico”. Le lepri sono anche ritenute entità trickster, che tradotto dall’inglese significa imbroglione: nel folclore sono quelle figure umane, animali o teriomorfe che si prendono gioco dell’uomo con scherzi di cattivo gusto il cui esito può essere lieve come pure fatale, caratteristica condivisa anche da gnomi, folletti e altre entità fatate. L’apparire e lo sparire fanno parte del "gioco" e rappresentano la capacità di queste entità di bilanciarsi a piacimento tra più dimensioni spazio-temporali, ma soprattutto tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Spesso le lepri sono le stesse streghe che ne hanno assunto le sembianze. In molti racconti la lepre viene ferita dagli uomini che rincorrendola finiscono nella casa della strega, che mostra le stesse ferite inferte alla bestiola, la quale naturalmente è scomparsa. Sono reminiscenze sciamaniche di epoche in cui la trasformazione in forma animale era un viaggio astrale a scopo magico: siamo a conoscenza di queste manifestazioni principalmente tramite i media che hanno importato la conoscenza del fenomeno dei “mutaforma”, in inglese shapeshifter, specie in riferimento alle tradizioni sciamaniche dei nativi americani e dei popoli euroasiatici. Ebbene anche in Europa questa forma di magia animale di trasmutazione si trova in molte tradizioni e ci è stata tramandata sotto forma di fiabe e novelle riportate in periodi intrisi di timore cristiano verso le pratiche di stregoneria e di tentativi di stigmatizzare le antiche usanze pagane dando loro una connotazione malvagia. Inimicarsi le lepri porta sventura, e sventurati sono quei cacciatori stolti che insistono per catturarne gli esemplari migliori: questa è una traccia, celata, del rispetto che in antichità era tributato agli animali più maestosi e possenti.

Il poeta irlandese William Butler Yeats ci ha narrato molti episodi che hanno per protagonista la lepre magica: questi racconti sono spesso violenti e le povere lepri sono tratteggiate non per ispirare tenerezza bensì angoscia e ribrezzo: tuttavia leggendo tra le righe, a noi che siamo Streghe queste magiche bestiole ispirano simpatia, dolcezza e incanto quando leggiamo dei loro balzi onirici, delle fughe tra i refoli fatati delle nebbie e delle loro movenze lievi e leggiadre.

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Da "Fiabe irlandesi" di William Butler Yeats, Ed. Newton Compton:


La strega lepre (dei coniugi Samuel Carter Hall)

"Me ne stavo in giro a seguire tracce di una lepre, quando ti vedo un bell'esemplare che salta e piroetta al chiaro di luna, sbatte le orecchie su e giù e strizza i suoi occhioni. «Ci siamo», mi dico, e la bestia mi era così vicina che si è voltata a guardarmi e poi ha fatto un balzo all'indietro, come per dire: «Vediamo cosa sai fare!». Avevo soltanto un ultimo granello di polvere, così lo metto nel fucile e le sparo! Caro mio, lo strillo che ha fatto avrebbe spaventato un reggimento, e fra me e lei si è alzata una specie di nebbia e non l'ho più vista; ma quando la nebbia si è diradata ho intravisto del sangue nel punto in cui prima c'era la lepre: ho seguito la sua traccia, e alla fine mi ha condotto – mi raccomando, acqua in bocca - proprio davanti alla porta di Katey Mac Shane; e mentre stavo sulla soglia ho sentito dei lamenti, forti lamenti e gemiti che provenivano dall'interno; allora ho aperto la porta ed eccola là, seduta tutta soddisfatta in forma di donna; e il gatto nero che le sedeva accanto ha drizzato la schiena e mi ha sputato addosso; ma io non ci ho fatto caso e ho chiesto alla vecchia come stava e cosa la faceva soffrire.
«Niente», dice lei.
«Ma che c'è sul pavimento?», dico io.
«Oh», dice, «stavo tagliando un ceppo», dice, «col falcetto, e mi
sono ferita a una gamba », dice, «e quelle sono gocce del mio prezioso
sangue», dice."

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La sorte di Frank M'Kenna (di William Carleton)

"C’era un uomo chiamato M’Kenna che viveva sul fianco di una delle alture montagnose che dividono la contea Tyrone da quella Monaghan. M’Kenna aveva due figli, uno dei quali aveva l’abitudine di seguire le tracce delle lepri la domenica, quando era venuta giù un po’ di neve. Il padre, a quel che sembra, l’aveva rimproverato spesso per ciò che considerava come una profanazione del giorno del Signore, oltre che per il fatto che non andava mai a messa. Il giovane però, benché per il resto docile e inoffensivo, per quel che riguardava questa faccenda era del tutto insensibile ai rimproveri paterni, e continuava a seguire le tracce delle lepri tutte le volte che gli impegni di lavoro glielo consentivano. Accadde dunque che un mattino di Natale, credo dell’anno 1814, venne giù un’abbondante nevicata, e il giovane M’Kenna, invece di andare a messa, tirò giù il suo bastone da lancio – cioè un bastone molto più grosso e pesante a una estremità che all’altra – e si accinse a partire per il suo passatempo preferito. Vedendo questo, suo padre lo rimproverò seriamente e insistette perché partecipasse alle preghiere. La passione del ragazzo per quel divertimento però era più forte del suo amore per la religione, ed egli si rifiutò di fare come gli aveva detto il padre. Durante l’alterco il vecchio si scaldò e, vedendo che il figlio continuava ostinatamente a non tener conto della sua autorità, si inginocchiò e pregò che, se il figlio avesse continuato a fare di testa sua, non tornasse vivo dalle montagne. La maledizione, che era di certo tanto brutale quanto empia e insensata, avrebbe potuto distogliere molti dal perseguire un proposito che era, a dir poco, in contrasto con la religione e col rispetto dovuto a un padre. Non ebbe però alcun effetto sul figlio che si dice abbia risposto di essere comunque deciso, dovesse o meno far ritorno, ad andare; di fatto partì. Non era, però, solo: sembra che lo accompagnassero in tre o quattro ragazzi dei dintorni. Se la caccia abbia dato buoni risultati o no non ha importanza, né sono in grado di dirlo; ma la storia vuole che nell’ultima parte della giornata abbiano stanato la lepre più grande e più scura che mai avessero vista, e che questa abbia continuato a sfuggir loro, inducendoli a ritenere, mano a mano che procedeva, che ogni successivo lancio del bastone l’avrebbe abbattuta. In seguito fu notato anche che la lepre li aveva condotti nelle zone più nascoste della montagna e che, sebbene essi avessero tentato di deviarne il percorso verso il villaggio, non erano riusciti nell’intento. Con il calare della sera i compagni di M’Kenna cominciarono a rendersi conto che sarebbe stato folle inseguirla ancora e a intravedere il pericolo di perdersi tra le montagne, se li avesse sorpresi la notte o una tempesta di neve. Proposero dunque di abbandonare la caccia e rientrare in casa; ma M’Kenna non ne volle sentir parlare. “Se volete andare a casa potete farlo”, disse; “quanto a me non lascerò queste colline finché non l’avrò catturata”. Essi lo pregarono e supplicarono di desistere e ritornare indietro, ma senza alcun risultato: sembrava, come dicono gli scozzesi, un ‘fey’ – si comportava cioè come se fosse spinto da un impulso che l’avrebbe condotto alla morte, e al cui controllo nessun uomo può sottrarsi. Infine, vedendolo così irriducibilmente ostinato, lo lasciarono mentre inseguiva la lepre nel cuore delle montagne e ritornarono alle loro rispettive case.
In quel mentre sopraggiunse una delle più terribili tempeste di neve che mai si ricordino in quella parte del paese, e la conseguenza fu che il cocciuto giovanotto, che aveva calpestato sia i principi sacri della religione che quelli dell’autorità paterna, fu dato per disperso. Appena la tempesta si fu calmata i vicini si riunirono e iniziarono la ricerca. Ma la neve era caduta così abbondante che non si poteva distinguere nessuna impronta. Non si vedeva null’altro che un’ampia distesa di candide colline ondulate, dovunque si posasse lo sguardo; e di M’Kenna non si vedeva né si poteva trovare alcuna traccia. Il padre, ricordando allora quanto innaturale era stata la sua maledizione, ne fu sconvolto, perché, anche se ancora il corpo non era stato rinvenuto, chiunque avesse assistito alla furia improvvisa della tempesta e conoscesse le montagne sapeva che non poteva esservi scampo o salvezza. Ogni giorno, per quasi una settimana, gruppi composti di molte persone batterono le alture cercandolo, ma invano. Venne infine il disgelo, e il suo corpo fu trovato sopra un cumulo di neve, steso in posizione supina entro un cerchio che lui stesso aveva tracciato attorno a sé col bastone. Il libro di preghiere giaceva aperto sulla sua bocca, con il cappello messo in modo da coprire sia il libro che la faccia. Non è necessario dire come la morte e le circostanze in cui si era allontanato da casa avessero suscitato molta eccitazione nella zona – e l’emozione era tanto più forte per l’incertezza causata dal fatto che non era stato ritrovato, né vivo né morto, per molto tempo. Alcuni avevano affermato che aveva attraversato le montagne e che era stato visto nel Monaghan; altri che era stato visto a Clones, a Emyvale, a Five-mile-town; ma nonostante tutte quelle belle notizie la triste verità venne infine alla luce quando si ritrovò il corpo, nelle circostanze che ho riferito."

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Il burro stregato” (contea Queens - da Dublin University Magazine, 1839)

Curiosamente (almeno per chi non è avvezzo ai meccanismi di fiabe e leggende) in questo racconto vi sono la strega buona, alleata con la brava gente funestata dalle disgrazie, e la strega cattiva, responsabile di quelle disgrazie. La lepre entra in campo (letteralmente!) dopo la metà del racconto: l’animale è ferito dai cani e si ripara all’interno della casa della strega malvagia: quando vi giungono i cacciatori, come da copione non trovano la lepre ma la strega con le medesime ferite inferte dai cani.
La peculiarità di questo racconto sta anche nell’importanza del latte e del burro: nel folclore le attività casearie sono tipicamente sottoposte a magie stregate, come d’altra parte molti altri alimenti, data la loro importanza per la sopravvivenza umana. Come per esempio il grano… ma questa è un’altra storia…


"Verso l'inizio del secolo scorso viveva nei pressi del villaggio, un
tempo famoso, di Aghavoe(1) un ricco agricoltore chiamato Bryan
Costigan. Quest'uomo possedeva un'ampia fattoria con una gran
quantità di mucche da latte e ogni anno ricavava notevoli somme di
denaro dalla vendita del latte e del burro. La fertilità delle terre da
pascolo di questa zona è sempre stata proverbiale; e le mucche di Bryan
erano le più belle e le più produttive del paese, il suo latte e il suo burro
i più ricchi e cremosi e spuntavano i prezzi più alti in tutti i mercati in
cui erano messi in vendita.
Le cose seguitavano ad andar molto bene per Bryan Costigan,
quando, improvvisamente, una stagione si accorse che le bestie
perdevano il loro bell'aspetto e che la fattoria non dava quasi più
profitti. Bryan inizialmente attribuì questo cambiamento al tempo o a
una qualche causa simile, ma presto trovò, o credette di trovare, dei
motivi validi per ritenere responsabile una fonte assai diversa.
Senza soffrire in apparenza di alcun disturbo, le mucche deperivano
di giorno in giorno ed erano a malapena in grado di trascinarsi al
pascolo: molte, invece che latte, non davano altro che sangue; quel
poco latte che qualcuna continuava a produrre era così cattivo che non
lo bevevano neppure i maiali; mentre il burro che se ne ricavava era di
qualità così pessima e puzzava in modo tanto tremendo che perfino i
cani rifiutavano di mangiarlo. Bryan si rivolse in cerca di rimedio a tutti
i ciarlatani e a tutte le fattucchiere del paese, ma invano. Molti degli
impostori dichiaravano che la loro scienza era impotente di fronte alla
misteriosa malattia che aveva colpito il suo bestiame; mentre altri, pur
non trovando nessuna difficoltà ad attribuirla a un agente
soprannaturale, dichiaravano di non avere alcuna autorità in materia,
poiché l'incantesimo che distruggeva la proprietà di Bryan era talmente
potente che solo l'intervento speciale della Divina Provvidenza avrebbe
potuto annullarlo, e nient'altro. Il povero fattore era sconvolto, vedeva
di fronte a sé la rovina, ma cosa doveva fare? Vendere le sue bestie e
comprarne delle altre? No, questo era fuori discussione, visto che
avevano un aspetto così miserevole e macilento che nessuno le avrebbe
prese nemmeno in regalo; né era possibile venderle a un macellaio, dato
che la carne di una che egli aveva ammazzato per la sua famiglia era
nera come il carbone e puzzava tal quale una carogna putrefatta.
Il disgraziato era perciò del tutto disorientato. Non sapeva cosa fare;
divenne torvo, sembrava stordito; di notte non riusciva a prender sonno
e vagabondava tutto il giorno per i campi come un pazzo fra le sue
bestie colpite dai folletti.
Le cose continuavano ad andar così quando, in una sera molto afosa,
verso la fine di luglio, la moglie di Bryan Costigan era seduta accanto
alla porta a filare, in uno stato d'animo molto depresso e turbato. Il suo
sguardo corse, per caso, lungo lo stretto sentiero erboso che portava
dalla strada maestra alla casa, e scorse una vecchina scalza, avvolta in
un vecchio mantello scarlatto, che s'avvicinava lentamente, aiutandosi
con una gruccia che reggeva in una mano e con un bastone da
passeggio che teneva nell'altra. La moglie del fattore si rallegrò nel
notare quella forestiera dall'aspetto insolito; sorrise, senza sapere
perché, vedendo che si avvicinava alla casa. Un vago e indefinito senso
di piacere pervase la sua mente, e quando la vecchia raggiunse la
soglia, le disse «benvenuta» con un calore che faceva chiaramente
intendere come le sue labbra stessero esprimendo i genuini sentimenti
del suo cuore.
«Dio benedica questa buona casa e tutto quello che le appartiene»,
disse la sconosciuta entrando.
«Dio ti protegga. Sappi di essere la benvenuta, chiunque tu sia»,
rispose la signora Costigan.
«Ehm, lo immaginavo», disse la vecchia con una smorfia
significativa. «Lo immaginavo, altrimenti non vi avrei disturbato.»
La moglie del fattore corse a sistemare una sedia presso il fuoco per
la sconosciuta; ma lei rifiutò e si accoccolò per terra vicino al punto
dove era stata seduta a filare la signora Costigan. Quest'ultima poteva
ora esaminare minuziosamente la figura della vecchia. Appariva molto
anziana; l'espressione del volto era estremamente brutta e ripugnante; la
pelle era ruvida e molto scura, come per effetto di una lunga
esposizione al sole di qualche area tropicale; la fronte era bassa, stretta
e scavata da mille rughe; i lunghi capelli grigi ricadevano in ciocche
arruffate da sotto una papalina di lino bianco; gli occhi erano velati,
iniettati di sangue e collocati nelle orbite per storto e la voce era rauca,
tremula, parzialmente inarticolata. Accovacciatasi sul pavimento,
esaminava la casa con sguardo indagatore; scrutava spiando ogni
angolo, con tale intensità, quasi avesse avuto il potere, come
l'Argonauta dei tempi antichi, di vedere attraverso le profondità della
terra, mentre la signora Costigan continuava a seguire i suoi movimenti
con un misto di curiosità, reverenza e piacere.
«Signora», disse la vecchia rompendo infine il silenzio, «ho la gola
secca per il gran caldo; puoi darmi da bere?»
«Ahimè!», rispose la moglie del fattore, «non ho da offrirti altro che
acqua, altrimenti non avresti certo avuto bisogno di chiederlo».
«Non sei la padrona delle bestie che vedo laggiù?», disse la vecchia
con un gesto e un tono di voce che indicavano chiaramente come già
sapesse tutto.
La signora Costigan rispose di si, e le raccontò in poche parole ogni
particolare della faccenda, mentre la vecchia restava sempre silenziosa,
scuotendo però ripetutamente la testa grigia; intanto continuava ad
esplorare con lo sguardo la casa con aria di importanza e grande
competenza.
Quando la signora Costigan ebbe finito, la vecchia rimase un
momento come assorta, e alla fine disse:
«Hai in casa un po' di latte?».
«Si», rispose l'altra.
«Mostramene un po'.»
La signora ne riempi una brocca da un recipiente e la porse alla
vecchia sibilla, che lo annusò, ne assaggiò un sorso e poi lo sputò sul
pavimento.
«Dov'è tuo marito?», chiese.
«Fuori, nei campi», fu la risposta.
«Devo vederlo.»
Un ragazzo fu mandato a chiamare Bryan, che poco dopo comparve.
«Caro vicino», disse la sconosciuta, «tua moglie mi dice che le vostre
bestie vi danno dei problemi in questo periodo.»
«Ti ha detto la verità», disse Bryan.
«E perché non avete cercato un rimedio?»
«Un rimedio!», fece l'uomo, «ma, cara la mia donna, ho cercato
rimedi fino a spezzarmi il cuore, e tutto inutilmente; peggiorano di
giorno in giorno.»
«Cosa mi dai se te le guarisco?»
«Tutto quello che possiamo», risposero Bryan e la moglie, entrambi
con voce sollevata e d'un sol fiato.
«Vi chiedo soltanto una moneta d'argento da sei penny», disse, «e
che facciate tutto quello che vi ordinerò.»
Il fattore e la moglie sembravano sbalorditi davanti a una richiesta
tanto modesta. Le offrirono una grossa somma di denaro.
«No», disse lei, «non voglio il vostro denaro; non sono
un'imbrogliona, e non prenderei neanche i sei penny, se non fosse che
non posso fare nulla se non ho in mano un po' del vostro argento.»
Le fu subito data la moneta da sei penny e sia Bryan che la moglie,
che ormai cominciavano a considerare la vecchia strega il loro angelo
custode, promisero la più totale obbedienza a tutti i suoi ordini.
La vecchia si sfilò un nastro di seta nera che le circondava il capo
sotto la papalina e la diede a Bryan dicendo:
«Ora va', e porta nel cortile la prima vacca che toccherai con questo
nastro, ma fai attenzione a non toccare la seconda, e a non dire una
parola finché non sarai di ritorno; sta' attento anche a che il nastro non
vada a toccare per terra, altrimenti tutto è inutile».
Bryan prese il nastro magico e presto fu di ritorno, conducendo
davanti a sé una mucca rossa.
La vecchia usci e, avvicinatasi alla vacca, cominciò a strapparle i peli
della coda, cantando dei versi in Irlandese in una bassa, selvaggia e
sconnessa melodia. La mucca appariva recalcitrante e irrequieta, ma la
vecchia continuò la sua misteriosa canzone fino a quando non ebbe
estratto il nono pelo.
Poi ordinò che la mucca fosse ricondotta al pascolo, e rientrò in casa.
«Vai, ora», disse alla donna, «e portami un po' di latte di tutte le
mucche che possedete.»
La donna parti e presto ritornò con un grosso secchio pieno di una
orribile mistura di latte, sangue e sostanze in putrefazione. La vecchia
mise tutto nella zangola e preparò quel che serviva per fare il burro.
«Ora», disse, «dovete sbattere il latte tutti e due. Chiudete bene porta
e finestre e lasciate soltanto la luce del fuoco; non aprite la bocca finché
non ve lo dico io, e se seguirete le mie istruzioni non dubito che, prima
che il sole sia tramontato, scopriremo chi è la perfida creatura che vi sta
derubando.»
Bryan sprangò porte e finestre e cominciò a sbattere il latte. La
vecchia fattucchiera sedette vicino a un grande fuoco acceso apposta
per l'occasione; cominciò a cantare la stessa strana canzone che aveva
cantato strappando i peli della mucca, e dopo un po' gettò uno dei nove
peli nel fuoco, continuando a cantare la misteriosa melodia e nello
stesso tempo controllando con estrema attenzione il procedere della
magia.
Allora si senti un forte grido, come di una donna disperata, farsi
sempre più vicino alla casa; la vecchia strega interruppe i suoi
incantesimi e ascoltò attentamente. La voce che urlava si avvicinò alla
porta.
«Aprite la porta, presto», gridò la fattucchiera.
Bryan tolse la sbarra e tutti e tre si precipitarono nel cortile, dove
udirono lo stesso grido in fondo al boreheen(2) ma non riuscirono a
vedere nulla.
«È finita», strillò la vecchia strega; «qualcosa non ha funzionato e
per ora il nostro incantesimo è inefficace.»
Se ne stavano tornando indietro tutti abbattuti quando, sul punto di
entrare in casa, la sibilla abbassò gli occhi e scorse, inchiodato sulla
soglia, un pezzo di ferro di cavallo(3) . Allora gridò:
«Ecco, ora capisco; non c'è da stupirsi che il nostro incantesimo sia
fallito. La persona che gridava là fuori è la sciagurata che ha stregato le
vostre bestie; l'ho attirata verso la casa, ma non è riuscita ad arrivare
alla porta a causa di questo ferro di cavallo. Toglietelo immediatamente
e tenteremo di nuovo la sorte».
Bryan tolse il ferro di cavallo dalla soglia e, seguendo le direttive
della vecchia, lo mise per terra sotto la zangola, dopo averlo reso
incandescente sul fuoco.
Ripresero un'altra volta i loro traffici. Bryan e sua moglie
ricominciarono a sbattere il latte e la strega a cantare i suoi strani versi,
gettando i peli di vacca nel fuoco finché non li ebbe quasi finiti tutti. Il
suo volto cominciava ora a mostrare segni evidenti di irritazione e
delusione. Si fece assai pallida, i denti serrati, le mani tremanti, e
mentre gettava il nono e ultimo pelo sul fuoco, la sua persona pareva
quella di un demone femminile, più che di un essere umano.
Ancora una volta si udì il grido e si vide una vecchia dai capelli rossi(4) avvicinarsi velocemente alla casa.
«Oh, oh!», gridò la fattucchiera, «sapevo che sarebbe andata così; il
mio incantesimo è riuscito; le mie aspettative si sono realizzate; eccola,
la sciagurata che vi ha rovinati.»
«E adesso cosa dobbiamo fare?», chiese Bryan.
«Non le dite niente», rispose la vecchia, «datele quello che vi chiede
e lasciate a me il resto.»
La donna avanzava urlando in modo forsennato e Bryan usci ad
accoglierla. Era una vicina; disse che una delle sue mucche più belle
stava annegando in uno stagno, che a casa non c'era nessun altro che lei
e implorò Bryan di andare a salvare la mucca.
Bryan la accompagnò senza esitazione e, dopo aver salvato la mucca
in pericolo, tornò a casa nel giro di un quarto d'ora.
Era ormai il tramonto, e la signora Costigan si accinse a preparare la
cena.
Durante la cena ritornarono ai singoli avvenimenti della giornata. La
vecchia strega fece più d'una risata diabolica per il successo dei suoi
incantesimi, e domandò chi fosse la donna che avevano scoperto in
modo così curioso.
Bryan le dette ogni particolare. Era la moglie di un fattore vicino; si
chiamava Rachel Higgins e da molto tempo era sospettata d'essere in
rapporto stretto con lo spirito delle tenebre. Aveva cinque o sei mucche;
ma i suoi ben informati vicini avevano notato che vendeva ogni anno
più burro delle mogli di altri fattori che ne avevano venti. Bryan, fin da
quando il suo bestiame aveva iniziato a deperire, aveva sospettato che
fosse lei la responsabile, ma dato che non aveva alcuna prova, aveva
taciuto.
«Bene», disse la vecchia strega con un ghigno, «non basta aver
scoperto la responsabile; è tutto inutile, se non facciamo qualcosa per
punirla per le malefatte del passato e che le impedisca altre razzie per il
futuro.»
«E come ci riusciremo?», chiese Bryan.
«Ve lo dirò: questa sera, appena arriva la mezzanotte, andrete al
pascolo e porterete con voi un paio di cani veloci; vi nasconderete in
qualche posto vicino al bestiame e lo terrete bene d'occhio; e se vedete
qualcosa, sia uomo o bestia, che si avvicina alle mucche, aizzate i cani,
e se possibile fate in modo che feriscano l'intruso, così da farlo
sanguinare; e allora Tutto sarà finito. Se nessuno si avvicina prima
dell'alba, potete ritornare e proveremo qualcos'altro.»
Li nei pressi viveva il bovaro di un gentiluomo della zona. Era un
giovanotto forte e coraggioso e teneva sempre un paio di feroci bulldog.
Bryan andò da lui per ottenere aiuto, e questo acconsenti di buon
grado ad accompagnarlo, e propose inoltre di prendere un paio dei
migliori levrieri del padrone, poiché i suoi cani, che pure erano
aggressivi e assetati di sangue, quanto a velocità non erano dei migliori.
Promise a Bryan di raggiungerlo prima di mezzanotte e si lasciarono.
Quella sera Bryan non tentò di dormire: rimase seduto ansiosamente
ad aspettare la mezzanotte. Alla fine l'ora arrivò e il suo amico bovaro,
fedele alla promessa, arrivò al momento stabilito. Ricevuto qualche
altro consiglio dalla Collough, partirono. Giunti al pascolo, si
consultarono su quale posto scegliere per nascondiglio. Alla fine
decisero per una piccola macchia di felci, situata all'estremità del
campo, vicino al fossato di confine, piena di grandi, vecchi cespugli di
biancospino. Qui si accovacciarono e fecero stendere i cani, quattro in
tutto, accanto a loro, aspettando con ansia che l'ancora sconosciuta e
misteriosa visitatrice facesse la sua comparsa.
Bryan e l'amico rimasero in quell'eccitata attesa per un pezzo, ma
ancora niente si avvicinava, ed era chiaro che il mattino si stava
avvicinando; cominciavano a spazientirsi, e parlavano di far ritorno a
casa, quando, improvvisamente, udirono dietro di loro un rumore
febbrile che sembrava prodotto da qualcosa che cercasse di aprirsi a
forza un varco nella fitta siepe dietro a loro. Guardarono in quella
direzione, e immaginate il loro stupore nello scorgere una grossa lepre
nell'atto di balzar fuori dal fossato e saltare sul terreno proprio vicino a
loro. Ora si sentivano certi che quella era la cosa che avevano atteso
con tanta impazienza, ed erano decisi ad osservare minuziosamente i
suoi movimenti.
Arrivata sul campo, la lepre rimase immobile per alcuni istanti,
guardandosi attorno con sguardo acuto. Poi cominciò a balzare e saltare
come per gioco, ora avanzando a passo veloce verso le mucche, ora
ritirandosi precipitosamente, ma tuttavia facendosi a ogni finta più
vicina. Raggiunse dunque la prima mucca e la succhiò per un momento;
passò poi alla seguente, e quindi, una dopo l'altra, succhiò tutte le
mucche del campo -mentre esse continuavano a muggire forte e
apparivano estremamente spaventate e agitate. Bryan, dal momento in
cui la lepre aveva cominciato a succhiare la prima mucca, s'era
trattenuto con difficoltà dall'attaccarla; ma il suo più astuto compagno
gli suggeri che sarebbe stato meglio aspettare fino a quando non avesse
terminato, perché allora sarebbe stata molto più pesante e impacciata
nel tentare la fuga. Quel che segui provò che era proprio vero; infatti,
finito che ebbe di succhiare tutte le mucche, la sua pancia apparve
enormemente dilatata, e cominciò ad allontanarsi lentamente e con
evidente difficoltà. Avanzò verso la siepe dalla quale era entrata, e
quando arrivò alla macchia di felci dove i suoi nemici stavano
rannicchiati, questi balzarono in piedi gridando selvaggiamente e
aizzandole dietro i cani.
La lepre scattò veloce, facendo schizzar fuori dalla bocca e dalle
narici il latte che aveva succhiato, e i cani la inseguirono rapidi. La
capanna di Rachel Higgins apparve a breve distanza, nella grigia e fioca
luce del mattino, ed era evidente che la bestia era diretta li, anche se
aveva fatto un lungo giro per i campi dietro la casa. Bryan e il suo
compagno, però, si mossero con astuzia e andarono verso la capanna
per la via più breve; c'erano appena arrivati quando la lepre spuntò,
ansimante e quasi sfinita, con i cani alle calcagna. Corse attorno alla
casa, evidentemente confusa e contrariata dalla presenza degli uomini,
ma infine si diresse alla porta. In fondo alla porta c'era una piccola
apertura semicircolare che assomigliava a quelle praticate nelle porte
dei pollai per l'entrata e l'uscita delle galline. La lepre fece un ultimo
sforzo disperato per raggiungere questo buco, ed era riuscita a farci
passare attraverso la testa e le spalle, quando il primo cane fece un
balzo e le azzannò violentemente una coscia. La bestia lanciò un grido
acuto e penetrante e lottò disperatamente per liberarsi dalla presa, e alla
fine ci riuscì, ma non senza aver lasciato tra i denti del cane un pezzo
del suo posteriore. A questo punto gli uomini spalancarono la porta: un
bel fuoco di torba ardeva nel camino, e il pavimento era inondato di
sangue.
Non c'era in giro, tuttavia, nessuna lepre, e gli uomini rimasero più
che mai convinti che fosse stata la vecchia Rachel che aveva, con l'aiuto
di qualche demone, preso la forma della lepre, ed erano decisi a
catturarla, se era ancora su questa terra.
Entrarono nella camera da letto e udirono un gemito soffocato, che
sembrava provenire da qualcuno in terribile agonia. Andarono verso
l'angolo della stanza dal quale giungevano i lamenti e là, in mezzo a un
fascio di giunchi appena tagliati, videro le sembianze di Rachel
Higgins, che si contorceva tra gli spasmi più atroci, immersa in una
pozza di sangue. Gli uomini erano sbalorditi: si rivolsero alla sciagurata
vecchia, ma questa non poteva o voleva rispondere. La sua ferita
continuava a sanguinare abbondantemente: le sue sofferenze
sembravano aumentare ed era evidente che stava morendo. I familiari si
svegliarono e si radunarono attorno a lei con grida e lamenti; ma lei
sembrava non notarli neppure, le sue stridule urla risuonavano nelle
orecchie dei presenti. Alla fine spirò e il suo cadavere offri uno
spettacolo terribile, ancor prima che lo spirito l'avesse lasciato
completamente.
Bryan e l'amico tornarono a casa. La vecchia era già a conoscenza
della sorte di Rachel Higgins, anche se non si sapeva grazie a quale
dote soprannaturale.
Era molto rallegrata per l'esito delle sue pratiche misteriose. Bryan
insistette molto perché accettasse qualche ricompensa per i suoi servizi,
ma essa rifiutò categoricamente ogni proposta. Rimase ancora alcuni
giorni in casa sua, e alla fine si congedò e parti, nessuno seppe per
dove.
I resti della vecchia Rachel furono sotterrati quella notte nel vicino
cimitero. La sua sorte divenne presto nota a tutti e la sua famiglia,
vergognandosi di rimanere nel villaggio nativo, vendette la proprietà e
abbandonò per sempre il paese. La storia, tuttavia, è ancora viva nella
memoria degli abitanti della zona; e si dice che spesso, nella grigia
foschia della luce estiva, si possa vedere il fantasma di Rachel Higgins
che, sotto forma di una lepre, saltella in giro per i territori di caccia che
prediligeva e che tanto bene ancora ricorda."

1) Aghavoe - «il campo delle mucche» - è un bel villaggio romantico vicino a Borris-in-Ossory, nella contea Queens. Un tempo era un luogo di notevole importanza, e fu per secoli sede vescovile della diocesi di Ossory, ma da molto tempo è in rovina, e attualmente è importante solo per gli splendidi ruderi di un convento domenicano, erettovi in tempi remoti da San Canice, santo patrono di Ossory.
2) Sentiero (N.d.C).
3) Un tempo era consuetudine, in Irlanda, inchiodare un ferro di
cavallo sulla soglia della porta di casa, per salvaguardarla dall'influenza delle creature fatate, che si ritiene non osino entrare in una casa così protetta. La consuetudine, tuttavia, sta scomparendo, ma è ancora praticata in alcune delle aree più isolate.
4) Si ritiene che le persone dai capelli rossi possiedano poteri magici.


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Per approfondire:

- OSTARA: la LEPRE e il Coniglio

- PASQUA PAGANA - pagan home decor

- OSTARA - LETTURE SCELTE

- Biblioteca: OSTARA - LEGGENDE DI PRIMAVERA

- Cesare Accorsi in "La lepre e l'equinozio" - rivista Sirio n.419

Fonti delle immagini: Lisa Parker, Amanda Clark, Wendy Andrew, Mandy Walden, Pinterest.
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Edited by Deomira ErbaLuna - 7/4/2020, 21:12
view post Posted: 5/3/2020, 22:25 Il pendolo come non influenzarlo? - ARTI DIVINATORIE
Eh si! Ma per il pendolo ci vuole molta pratica in condizioni di tranquillità e di concentrazione: magari prova in altri momenti!
view post Posted: 4/3/2020, 11:44 Il pendolo come non influenzarlo? - ARTI DIVINATORIE
XuFu, la colpa è della legge dei grandi numeri: se insisti vedrai che ti uscirà la più alta. Ciao! :kss:
view post Posted: 24/1/2020, 23:44 IL MANTELLO DI BRIGID - I SIMBOLI DEL SACRO

IL MANTELLO DI BRIGID

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Brigdhe nam Brat - Bhrat Bhrighde - Brighid of the Mantles: queste le definizioni tradizionali del mantello della Dea irlandese Brigid, sacro indumento che è uno degli attributi della Dea: questo manufatto (si dice che lo tessesse lei stessa, presso l’Isola di Iona) ha molti significati anche esoterici, ed è entrato in numerosi riti e in altrettante versioni dei rituali tradizionali.
La Dea Brigid è ancor oggi confusa con l’omonima santa irlandese, non per niente quest’ultima è la cristianizzazione della Dea. Vi sono molti miti su questa divinità che sono stati poi attribuiti a Santa Brigida d’Irlanda sotto forma di allegorie o di tradizioni popolari. Molte azioni magiche della Dea con l’avvento del Cristianesimo sono state definite miracoli. Questi atti magici sono ormai intercambiabili tra la Dea e la santa: a seconda dei testi sono attribuiti all’una o all’altra. E’ facile però capire come molte cose che avrebbe compiuto la santa siano di chiara origine pagana, anche se non si conoscono i miti irlandesi: per citare anche solo uno dei tanti esempi, c’è una leggenda secondo cui la santa per giungere dall’Irlanda a Betlemme dove avrebbe adoperato il sacro mantello per avvolgere il Bambin Gesù, attraversò nientemeno che un portale spaziotemporale, elemento tipico della mitologia delle fate e che riscontriamo anche nel racconto di “Alice nel paese delle meraviglie” nonché in numerose altre narrazioni. Questa caratteristica della Dea Brigid come divinità liminale, quindi “tra i mondi”, la ritroviamo nella leggenda -riferita alla santa- in cui sarebbe stata partorita su una soglia, quindi “né dentro, né fuori”.

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Tra i significati del mantello di Brigid in primis v’è l’arte della tessitura, con le sue componenti esoteriche. La filatura e l’arte del comporre intrecci la troviamo nella fattura del mitico manto e nella creazione della “Croce di Brigid”. Questa attività magica è evidenziata anche in canti e incantesimi riportati nella letteratura poetica, dai folcloristi dell’Ottocento e a tutt’oggi rammentati dagli anziani.

In tutte le mitologie del mondo le stoffe hanno insita la Magia, soprattutto quando si tratta di tele coprenti come i mantelli o gli scialli: offrono protezione nelle narrazioni in cui i devoti devono ripararsi dalle intemperie, o in cui devono nascondersi da situazioni di pericolo o da entità maligne.
Un topos classico è la beffa con cui la divinità o il santo di turno mettono in difficoltà l'interlocutore umano mediante giochi dialettici: questa situazione la troviamo anche riferita al mantello:
"La leggenda narra che il Re di Leinster accettò di donare a Santa Brigida tanto terreno quanto avrebbe potuto coprirne il mantello. La santa si fece aiutare da quattro fanciulle che presero un lembo del manto a ogni angolo, e lo tesero ognuna verso le quattro direzioni: nord, sud, ovest, est. Fu così che il magico plaid poté coprire moltissimi acri, ove la santa fece costruire il suo monastero."

In questo miracolo cristiano, che altro non è che un mito divino, si trovano i consueti significati simbolici: una stoffa dai magici poteri, quattro fanciulle corrispondenti ai punti cardinali, e c’è quella sorta di scommessa, in cui è la santa a uscire vincitrice per lo stupore del Re.

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Il tipo di stoffa del mantello di Brigid varia a seconda delle tradizioni, delle saghe e delle zone: di lino, di lana oppure di seta, quest’ultima citata in racconti più tardivi, dove con il cristianesimo si sono intrecciate trame orientaleggianti: il mantello di Santa Brigida ha intessuti fili di oro e altri filati mediterranei.
Nei testi anglofoni è spesso definito "plaid", naturalmente non nell’accezione all’italiana con cui s’intende un copriletto, un copridivano o uno “scaldino”: plaid è un termine di origine scozzese usato per indicare un telo rettangolare, forse derivato dal latino paludamentum, poi passato a designare il classico tartan posato su una spalla, similmente all’abbigliamento degli antichi Romani: verosimilmente quest’uso di vestirsi di un paludamento posato su una spalla è iniziato proprio durante la conquista romana. E Brigid -la Dea come la santa- nell'immaginario è stata via via vestita secondo la moda del momento!
Come in ogni mito che si rispetti, non c’è nessuna versione che sia uguale all’altra: e –come sempre- non dobbiamo però guardare le differenze, bensì le similitudini. Su questo plaid -o mantello, mantella o cappa- si sono intrecciati numerosi aneddoti, come sempre riferiti alla santa e sono state intessute altrettante versioni sul tipo di filato e soprattutto sul suo colore. O meglio, sui suoi colori: il verde, che richiama la “verde Irlanda” ma che non è menzionato nei testi tradizionali se non come epiteto riferito forse al mondo delle fate o alle tinte delle vesti dell'epoca in cui nacque il mito ma che è, purtroppo, abusato da molti neopagani dimentichi della peculiarità del manto di mutare colore; l'oro e l'argento, che oltre a essere di richiamo ai preziosi metalli sono rappresentativi del fulgore solare; infine il rosso, nei testi chiamato a volte cremisi e altre porpora, che è forse un’introduzione postuma atta a richiamare le colorazioni tipiche della cristianità, colore comunque mediato dall’attributo di divinità del fuoco e della forgia.

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In origine, come si desume dai racconti mitici, dai poemi e dalle narrazioni raccolte dai folcloristi in tempi più recenti, i colori del magico manto erano svariati ma accomunati da una particolarità che ne amplificava la magia: erano iridescenti, oppure cangianti, spesso assimilati alla mutevolezza dello spettro di colori dell'arcobaleno, caratteristiche che sottintendono la capacità del mantello di mutare la sua apparenza. Ciò che oggi, fra la Treccani, la Crusca e i neologismi modaioli, definiremmo sbrilluccicoso o sberluccicoso!

Il più probabile colore di base stando ai miti più arcaici doveva essere il blu, ma la peculiarità di questa tela è appunto quella di cambiare colore, tono e luminosità a seconda delle necessità di camuffare o di rendere invisibili, ma soprattutto in base all’irraggiamento solare e alla rifrazione prismatica di pioggia e acqua.
Tutto ciò ci ricorda il cielo, che di notte è blu e ammantato delle luminescenze stellari e di giorno muta a seconda dei riflessi e dell’atmosfera: il sacro mantello ha gli stessi colori e gli stessi mutamenti celesti e siderali. Naturalmente non è un caso.

Il manto della Dea narrato nelle saghe dunque muta colore assumendo i colori della volta celeste a seconda delle esigenze di proteggere chi vi si nascondeva sotto, come testimoniano le espressioni irlandesi “fé bhrat Bhríde” e "faoi bhrat Bhríde sinn" che indicano la protezione dello stare “sotto il manto di Brigid”. Spesso questo mantello diviene dei colori dell’alba ed è definito luminoso:

A Bhrigid, scar os mo chionn
Do bhrat fionn dom anacal


(trad.: Oh, Brigid, è luminoso il tuo mantello che ricopre la mia testa)

Essere “sotto il manto di Brigid” significa essere messi al sicuro, un po’ come in Italia si dice “mettersi sotto il manto della Madonna”. Questo è un tipico mantello dell’invisibilità, ma non per mera sparizione ma peculiarmente per protezione.

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In tutto il mondo vi sono miti e leggende inerenti stoffe e abiti: basta pensare al mantello di Eracle e di Thor, alla Sacra Sindone, al tappeto di Aladino.
Non solo gli abiti interi ma anche delle semplici pezze di tessuto possono avere poteri magici: per esempio nella cristianità vi sono stoffe usate come reliquie: dai ritagli dei vestiti dei santi, definiti ex indumentis, a pezzuole che diventano taumaturgiche per il solo contatto con la salma del santo di turno o con il suo sepolcro: in tal caso si tratta di ex contactu, per contatto.
Questa usanza di porre strisce, panni e pezze di stoffa a contatto con una figura ritenuta santa o divina allo scopo di rendere il tessuto impregnato dei poteri di questa figura, per poi adoperarlo come portafortuna o –soprattutto- per fini taumaturgici e curativi, è una pratica millenaria presente trasversalmente in tutte le civiltà. E questa pratica la ritroviamo anche riguardo al mantello di Brigid: in questo caso la gestualità del contatto, ex contactu, si attua con il tocco fatato della Dea: le tradizioni irlandesi, che sono ancor oggi mantenute nelle consuetudini popolari, prevedono una varietà di rituali che hanno come elemento comune l'esporre un tessuto alla notte di Imbolc, posato fuori di casa, per esempio a un ramo d’albero o su un cespuglio: Brigid passerà e toccherà la stoffa che con questa sua benedizione diverrà magica e con potere sanante. A seconda delle zone e degli usi, la stoffa cambia: può essere un semplice scampolo, una striscia di panno, un fazzoletto, oppure un indumento compiuto che abbia attinenza con il sacro manto: uno scialle, una sciarpa, un foulard e naturalmente un mantello, una mantellina o una cappa.

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La tradizione dice che a ogni anno a ogni esposizione, a ogni sfioramento della Dea durante la notte di Imbolc, il tessuto acquisirà sempre più potere.
Pezzuole, fettucce, mantelle o scialli saranno usati al bisogno per esempio per bagnare la fronte di un malato febbricitante, per coprire un neonato per proteggerlo da spiriti malevoli, persino per coprire un animale ammalato o anche come dono per accompagnare un addio a una persona cara, confidando che il tocco benedicente della Dea Brigid possa sortire guarigione e fortuna a tutti coloro che verranno a contatto con il magico tessuto.
Possiamo riprodurre anche noi questa stupenda tradizione, certi di non operare alcun effimero eclettismo poiché l’uso di ritenere magica una stoffa per incanto divino è presente anche nel folclore italiano e nelle nostre memorie popolari.

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Si dice che…
…gli abiti da sposa siano di colore bianco per richiamare le piume dei cigno, animale sacro che è una manifestazione della Dea Brigid e di numerose altre divinità femminili. Ancor oggi il nome Bride, che significa e rappresenta la sposa, è associato alle nozze. Prova ne è –per fare un esempio moderno- l’’hashtag #bride adoperato sui social, che rimanda a immagini di abiti di nozze e di wedding planner.
…in Gran Bretagna le uniformi delle persone con ruoli infermieristici siano di colore blu proprio per richiamare il colore del mantello di Brigid. Anche in molte altre istituzioni si adopera il blu come colore delle divise, per esempio in alcuni college a nome della santa e anche tra le suore di alcuni ordini. Tanto la Dea quanto la santa erano ritenute guaritrici, con attributi taumaturgici e, naturalmente, ostetriche: quest'ultimo è un attributo condiviso con la nostra mediterranea Giunone assieme a numerosi altri, a significare un filo mitico e sacro che accomuna le divinità...

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Anche quest'anno la pagina "La casa di Melia" (su Instagram), come pure Pietre di Luna forum, suggerisce la simpatica iniziativa di perpetuare questa bella e incantevole tradizione esponendo durante la santa notte di Imbolc il vostro scialle, la vostra sciarpa oppure una mantellina o una semplice stoffa che vi è cara, e partecipando a questa magica esperienza mediante fotografie da condividere assieme: seguite gli aggiornamenti su "La Casa di Melia" dove saranno via via indicate le modalità per postare le vostre foto.

FB: La Casa di Melia
IG: la_casa_di_melia


FB:Pietre di Luna forum
IG: deomira_erbaluna

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Come si esegue il rituale della "benedizione dei mantelli": nel pomeriggio o in serata o comunque quando riuscite prima della nottata di Imbolc, prendete una stoffa che vi è cara: può essere uno scialle, una sciarpa, una mantellina, un plaid o un qualsiasi pezzo di tela a cui tenete. Non importa se sia grande o piccola e potete anche predisporre di adoperare più capi. Posate la stoffa all'esterno della vostra abitazione, su un cespuglio, sui rami di un albero o se non avete un giardino, sulla ringhiera di un balcone o su una sedia. Ora non dovete fare altro che attendere che scenda la notte e che la Dea Brigid sfiori la vostra stoffa con il suo tocco benedicente. Il giorno dopo ritirate la stoffa, che userete come avvolgente conforto, da condividere anche con i vostri affetti quando riterrete che ve ne sia bisogno, per esempio per custodire un neonato, per benedire uno studente o per dare l'ultimo addio a un anziano e così via...
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:wstar: Anche Vamy, che ci aveva dato questo bello spunto un paio di anni fa, rinnova l’iniziativa dell’esposizione del nostri sacri manti. Potete trovare le info sul gruppo collegato alla sua pagina A piedi scalzi per il mondo :wub:

Altri spunti su Imbolc:
Table_CandleIMBOLC - SABBA DEL FOCOLARE DOMESTICO

Table_CandleBAMBOLINA DI BRIGID - DIY

Table_CandleIMBOLC E LA DEA BRIGID - a cura di Elettra Luce

Table_CandleNON SOLO BRIGID - eziologia mitologica e altre sante amenità...

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Edited by Deomira ErbaLuna - 31/1/2022, 00:30
view post Posted: 18/11/2019, 23:40 Breve riflessione sulla divinazione - ARTI DIVINATORIE
Riflessioni filosofiche che hanno fatto pensare (e impazzire) l’umanità da svariati millenni. E che ancora non hanno trovato una soluzione…
Un passatempo (il pensare alle “cose grandi”) che personalmente mi attira sempre meno poiché, da pragmatica quale sono, vorrei la soluzione a tutto, qui e adesso, specie con l’avanzare dell’età! :woot:
Anche io comunque nel corso dei secol…. ehm….degli anni mi sono posta la domanda di cosa sia il Divino, passando dalla credenza cristiana con cui siamo cresciuti in Occidente dell’esistenza di un dio unico e maschio, alla scoperta di quanto proposto dai filosofi, sia antichi sia moderni: il dio di Spinoza, o la teoria dell’Orologiaio, o quella dell’Energia immanente, oppure quella di Coscienza collettiva e così via. Poi -siccome tutto è relativo- ho pensato che le nostre credenze seguono un’evoluzione esattamente come la stessa Natura si evolve a successive maturazioni: quindi da una concezione infantile del Divino a una ideazione più matura. Dio non è, come si pensa in una concezione puerile, antropomorfo, dio non ha sesso, dio non è un soggetto unico, ecc. Ora mi pare che anche l’idea che il Divino sia una Energia superiore sia obsoleta, benchè fosse già un’evoluzione rispetto all’idea del dio barbuto delle tre religioni rivelate. Non sono ancora riuscita a decidere a cosa credere, e non so se sia perché sono giunta al più alto livello di evoluzione intellettuale o perché viceversa sono ancora molto, ma molto confusa :haaha:

Penso che prima di decidere a cosa credere (arrivando a sostenere: ohhhh, finalmente ho capito chi e cosa sia il Divino, adesso la mia ricerca è finitaaaa, ho sciolto una controversia millenaria! :lol: :D ), sia già un lodevole traguardo il “conosci te stesso”, che non significa meramente “conosciti!” –poiché sarebbe oltremodo egotistico!- bensì conosci il posto che tu hai in rapporto a ciò che ti circonda, sii consapevole del posto che occupi nel mondo. Già questa consapevolezza è un segno di grande maturità perché contempla la percezione dell’Altro oltre a sé, e ciò ci avvicina un pochino alla comprensione di cosa possa essere il Divino.
Mi piace la tua definizione di “forza conservativa”.
Riguardo alla divinazione, è bene separare la divinazione (che è mediata dal Divino) dalla predizione che non è demandata a dei e dee ma che si basa su svariati fattori: il destino, i segnali, ecc. Penso che molti fatichino a capire questa differenza. C’è chi legge i tarocchi convinto che si debba interpretare come la divinità abbia predisposto la disposizione delle lame. Oppure c’è chi pensa che certi segni (uccelli in volo, oggetti ritrovati in posto improbabili, ecc.) siano messaggi divini, e chi invece pensa che siano fattori della sincronicità.
“In generale la traducibilità dell'ordine cosmico influenza non tanto la validità della divinazione ma quella della sua interpretazione” questa affermazione può valere sia per la divinazione che per la predizione se il Divino e l’ordine cosmico sono la stessa cosa.
Continua dunque a essere difficile dare delle risposte! Delego a te le speculazioni perché in filosofia sei indubbiamente più preparato di me, e certamente più sensibile a una comprensione profonda.
Ti invito infine a leggere il post che ho scritto per presentare un libro che ho trovato molto interessante: Biblioteca: Incontri con menti straordinarie - di Piergiorgio Odifreddi
Ciao Lupo :kss:

Edited by Deomira ErbaLuna - 19/11/2019, 01:58
view post Posted: 27/10/2019, 22:34 Il pendolo come non influenzarlo? - ARTI DIVINATORIE
Non preoccuparti XuFu, il nostro è un forum zen :lol: nessuna fretta :kss:
424 replies since 1/11/2013